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Io venerdì sera non
volevo neppure uscire

Io venerdì sera non <br>  volevo neppure uscire

di Giovanna Lasalvia

(20 novembre 2015) Io venerdì sera non volevo neppure uscire. Avevo un po’ di mal di testa ed ero infreddolita. La settimana al lavoro era stata faticosa: ore e ore davanti al computer, sentivo gli occhi come  consumati. E poi  fuori faceva freddo.  Avevo deciso di starmene a casa: divano, filmetto, una tazza di latte caldo col miele. Poi sono arrivati i messaggi delle mie amiche. Uno dopo l’altro. Tanti, troppi. Odio le conversazioni su WhatsApp. “Abbiamo un biglietto in più per il concerto”,  “Devi assolutamente venire”, “Non vorrai mica startene a casa di venerdì sera?”. I biglietti le mie amiche li avevano comprati tre mesi  fa ma all’ultimo momento Dominic, uno del gruppo, si era tirato indietro. Un imprevisto di lavoro aveva detto. Nessuno ci ha creduto ma quella è un’altra storia. Le ragazze non mi hanno convinta subito. Io quel gruppo nemmeno lo conoscevo bene. Ho cambiato idea quando mi hanno detto che con noi ci sarebbe stato anche Nicolas. Nicolas mi piaceva molto: ci eravamo frequentati per un po’ e poi persi di vista. Diceva di avere una vita complicata, mille impegni, troppi interessi. Poca voglia di impegnarsi e tanto desiderio di libertà. Semplicemente, secondo me, non gli piacevo abbastanza. Io e Nicolas c’eravamo solo baciati un paio di volte. Ma ci sono baci che hanno sapori diversi dagli altri, non si dimenticano.

Io venerdì sera non volevo neppure uscire. Ma ci sarebbe stato Nicolas e mi sono detta: “Forse stasera è la volta buona che faccio colpo su di lui. Forse mi guarderà con occhi diversi. Forse accadrà qualcosa di bello”. Ho preso una compressa per il mal di testa. Ho messo il mio rossetto preferito, i tacchi alti e il cappotto nuovo: quello stile mantella che ora va tanto. E sono uscita.

Io venerdì sera non volevo neppure uscire ma arrivata lì ho capito di aver fatto bene: bella gente, tanta gente e soprattutto Nicolas in tutto il suo splendore. Un sorriso di zucchero, occhi profondi, ricci ribelli.  È vero sì: forse è un po’ troppo alto per me. Ma quanta sicurezza in quelle spalle e in quelle mani?  “Ti offro da bere?” mi ha chiesto con gentilezza e non mi sono tirata indietro. Abbiamo bevuto, riso e sorriso. Niente di importante ma quel “stasera magari ti riaccompagno a casa” mi lasciava ben sperare.

Io venerdì sera non volevo neppure uscire poi il concerto è iniziato. Pierre, Isabelle  e Jacqueline sono rimasti vicino al bancone del bar. Nathalie (nessuno sa come abbia fatto!) è  riuscita ad arrivare sotto al  palco. Io e Nicolas siamo rimasti in fondo al teatro.  Davanti c’era davvero troppa gente. Nicolas continuava a chiedermi “e questa invece? la sai?”. Mentivo con sicurezza, sorridevo con fare ammiccante: non conoscevo neppure una di quelle canzoni ma mi stavo divertendo. Ballavo, mi sentivo leggera. Tre, quattro, cinque. Forse sei pezzi e poi tutto sarebbe finito.

Io venerdì sera non volevo neppure uscire e quando ho sentito quello strano rumore pensavo a una cassa mal funzionante. Poi il rumore si è fatto più forte e qualcuno da dietro ha iniziato a spingere: Forse una rissa?  Mi urtano e mi si rovescia tutto il bicchiere di  birra addosso. “Questo no, non ci voleva” mi sono detta. “Che figura, che penserà ora Nicolas di me?”. Neppure il tempo di finire il pensiero e mi accorgo che Nicolas non è più accanto a me. Quelli accanto a me si buttano a terra. Mi chiedo cosa stia  succedendo ma non capisco. Mi spingono ancora, cado, sento che mi camminano addosso e intanto capisco che quei rumori sono spari. Tanti, tantissimi, spari. Tremo, ho paura, piango. Non vedo le mie amiche, non vedo i ricci ribelli. E non riesco neppure a correre. E’ successo qualcosa e non so che cosa. All’improvviso non vedo più niente. Non sento più niente.

Io venerdì sera non volevo neppure uscire e Nicolas non mi ha mai più riaccompagnato a casa. Neppure io sono tornata a casa: dicono che sono una delle vittime del massacro. Dicono che è stato un attentato, una strage, che siamo in guerra. Dicono tante cose. Troppe cose. E io non sento più nulla. E non posso neppure riabbracciare mia madre o dire a mio padre quanto gli voglia bene. Non posso più scrivere, ballare, prendere il sole, abbracciare, sognare, viaggiare. Non posso più ascoltare la musica, truccarmi, abbuffarmi di patatine, bere birra con gli amici, sentire il profumo della casa dei nonni. Soprattutto io non posso più amare.

Io venerdì sera non volevo neppure uscire.

 

(© 9Colonne - citare la fonte)