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Lo spirito repubblicano
che manca all’Italia

Lo spirito repubblicano <br> che manca all’Italia

di Luca Tentoni

Dopo l'attentato di Parigi la Francia ha dato prova di possedere ancora il suo "spirito repubblicano". Si tratta di un comune sentire del quale in Italia si è sempre lamentata la scarsità o l'assenza. Nel nostro paese, del resto, alcune ricorrenze che dovrebbero accomunare le parti politiche e i cittadini non sono sempre state pacificamente riconosciute come tali, prima fra tutti quella del 25 aprile. L'avvento della Seconda Repubblica, nel 1994-'96, ha soltanto accentuato divisioni che apparivano in precedenza ricomposte e che invece erano pronte a riproporsi in occasione della scelta fra un "polo" e l'altro.

Certamente, la creazione di un "nemico" interno da additare ai propri sostenitori (il comunismo da una parte, Berlusconi dall'altra) non ha favorito una pacificazione nazionale che pure il presidente della Repubblica Ciampi, fra il 1999 e il 2006, ha tentato di promuovere. L’aggregazione in due “famiglie politiche” ha polarizzato l'elettorato e ha svolto una funzione divisiva che ha finito per colpire non solo i simboli del nostro patrimonio comune (dalle feste nazionali alla stessa Costituzione e alle istituzioni).

A una più attenta analisi, però, appare riduttivo e sbagliato attribuire al sistema elettorale maggioritario uninominale (1994-2005) e alla personalizzazione della politica (con l'emergere di leader e di "partiti del capo") l'impossibilità di far nascere (o rinascere) in Italia lo "spirito repubblicano". La divisione sulle ragioni fondanti dello stare insieme, infatti, si protrae per buona parte della storia politica dall'Unità in poi. Prima con la questione meridionale e con la disputa fra Chiesa e Stato (caratterizzante soprattutto il primo mezzo secolo del Regno d'Italia), in seguito col fascismo, poi con la guerra fredda, quindi con un'artificiosa ma efficace distinzione fra poli elettorali e con l'ennesima, finale, divisione in tre blocchi, accompagnata da una disaffezione crescente verso i partiti e le istituzioni, il popolo italiano si è trovato unito in rare occasioni, quasi tutte cruciali.

La stagione della Costituente e la lotta al terrorismo sono stati rari episodi nei quali gli italiani e le forze politiche si sono trovati insieme dalla stessa parte. Non intendendosi sui contenuti da dare al "comune sentire", i partiti hanno spesso rinunciato a lavorare per edificare un insieme di valori, diritti e doveri sui quali convergere, al di là e al di sopra delle rispettive divergenze ideologiche. Forse, non avendo chiara la sostanza da attribuire allo "spirito repubblicano", è prevalsa l'interpretazione più prudente (per non dire diffidente) e si è commesso lo stesso errore imputato a chi, durante i lavori della Costituente, ebbe "il complesso del tiranno".

Per timore che il 25 aprile e la Resistenza diventassero la festa della sinistra (in particolare di quella comunista, anche se le forze del CLN rappresentavano un ben più ampio spettro politico) per anni si è trascurato, nell'immediato dopoguerra, il valore di quella ricorrenza. Questa è diventata patrimonio comune (mai unanime, peraltro) col passare del tempo, quando però è stata celebrata in modo sempre più rituale e in parte decontestualizzato. Lo stesso è avvenuto per la celebrazione dell'unità nazionale (contestata, nel 2011, dalla Lega Nord) e, in parte, per quella del 2 giugno (caratterizzata più dalle polemiche sulla parata militare a Roma che da una riflessione sullo stato della nostra democrazia e della Repubblica). Lo "spirito repubblicano" alla francese (al netto del ruolo attuale del FN, diverso dal passato ma non completamente in discontinuità con le posizioni che nel 2002, in occasione del ballottaggio presidenziale Chirac-Le Pen, spinsero alla mobilitazione anche gli elettori di sinistra, pur di impedire l’elezione all’Eliseo del capo dell’estrema destra) è stato scambiato, nel tempo, per un rigurgito di nazionalismo prima e poi, nella Seconda Repubblica, per una riedizione del "consociativismo" che il "nuovo ordine" creato dopo il 1994 proclamava di voler abbattere.

I tentativi del Presidente Carlo Azeglio Ciampi sul versante del recupero dell'idea di Patria si sono scontrati con la diffidenza per l'abuso che il fascismo ne aveva fatto. La stessa Costituzione, che per circa 45 anni è stata l'unica piattaforma comune delle forze politiche (o quasi: si parlava, non a caso, di "arco costituzionale" al di fuori del quale erano gli extraparlamentari e l'estrema sinistra nonché, fra i partiti, il Msi, fautore di un assetto dei poteri radicalmente diverso) è diventata, con la Seconda Repubblica, ulteriore motivo di contrapposizione. Mentre sul finire degli anni Settanta e negli anni Ottanta la "Grande Riforma" viene vista come un tentativo di aggiornare la Carta Fondamentale senza svilirne il valore, nella Seconda Repubblica la Costituzione viene sovente attaccata e, quando si pone mano ad un'operazione di riforma (com'è avvenuto in numerose occasioni negli ultimi venti anni) si trasforma in un campo di battaglia fra i partiti. Così, persino il nostro "succedaneo" dello spirito repubblicano, cioè l'unità intorno alla Costituzione, viene posto in discussione. Subentra una dialettica fra vecchio e nuovo, fra innovatore e conservatore nella quale non è più facile ricondurre ad unità il quadro, soprattutto perché ogni parte in causa rivendica la bontà della propria posizione in confronto all'"eresia" di quella opposta. Nel momento in cui l'unico strumento davvero unificatore, la Costituzione, è stato dichiarato vecchio (molto prima che si procedesse al "restauro" e alla parziale ricostruzione) il patto repubblicano si è ulteriormente sfilacciato, proprio mentre un'ondata di particolarismi stava invadendo il terreno della politica. I richiami autorevoli, fra i quali quelli dell'attuale Capo dello Stato, a trovare terreni dove edificare un nuovo complesso di valori comuni per la Repubblica e i suoi cittadini sono seguiti spesso da ampi consensi formali, ma da scarse realizzazioni concrete. Sebbene ci si auguri di non dover mai avere a che fare con la controprova, è molto difficile ipotizzare che il Parlamento italiano abbia lo spirito unitario (ancora vivo, a tratti, negli anni Settanta) per tributare, sia pure in una circostanza eccezionale, un omaggio corale come quello rivolto dai deputati francesi in occasione del recente discorso del Presidente François Hollande.

(da mentepolitica.it)

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