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C’è un filo che lega
terrorismo e petrolio

C’è un filo che lega <br> terrorismo e petrolio

di Paolo Pagliaro

(13 gennaio 2016) Negli anni scorsi gli analisti di Goldman Sachs avevano predetto che il prezzo del petrolio avrebbe raggiunto i 200 dollari al barile. E dunque il fatto che oggi la stessa banca d’affari annunci che verrà presto tagliato, in discesa, il traguardo dei 20 dollari al barile, un po’ fa sorridere.

Vero è, però, che dal luglio 2014 – da quando è iniziata la caduta - le quotazioni del petrolio hanno perso il 70% e oggi è convinzione diffusa che il greggio possa scendere ancora, con conseguenze devastanti sui conti di chi lo produce e con effetti di segno opposto ma altrettanto rilevanti per chi lo acquista.

Il petrolio è linfa vitale per l’economia russa e oggi a Mosca il premier Medvedev, ha detto che se i prezzi continueranno a scendere, il paese dovrà prepararsi al peggio. Il Cremlino ha messo nel conto di dover ridurre subito la spesa pubblica di almeno il 10%. La prospettiva è quella di un rapido e generale impoverimento della classe media.

In funzione anti-russa e anti-iraniana – oltre che per mettere fuori mercato i concorrenti americani - l’Arabia Saudita, gli Emirati arabi e i loro alleati del Golfo continuano a giocare al ribasso. Ma è una strategia spregiudicata e molto rischiosa non solo dal punto di vista finanziario.

Gli interessi legati al petrolio infatti sono sì commerciali, ma riguardano anche il prestigio, la potenza e persino la sopravvivenza di alcuni stati e di alcuni regimi. Tra questi c’è anche lo stato islamico, finanziato dalla rendite petrolifere dei suoi sponsor.

E’ un braccio di ferro che – secondo molti osservatori - già nei prossimi mesi potrebbe avere esiti esplosivi, più esplosivi delle guerre di religione.

(© 9Colonne - citare la fonte)