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Virtù e insidie
della politica pop

Virtù e insidie <br> della politica pop

di Paolo Pagliaro

(25 gennaio 2016) Che cosa vuol dire essere un capo, esercitare un’autorità, smuovere gli animi? Charles De Gaulle – che l’arte della leadership l’aveva non solo praticata ma anche analizzata in un libro intitolato “Il filo della spada” – sosteneva che il capo deve essere capace di mantenere un certo distacco, perché l’autorità si fonda sul prestigio e non c’è prestigio senza distacco.

Altri tempi. Oggi si teorizza il contrario e succede che persino Angela Merkel – statista che più di ogni altro ha saputo preservare dalla curiosità del pubblico la propria vita privata – ceda alla tentazione di raccontare in tv cosa cucina per il marito.

Il fatto è che da tempo, ormai, la personalizzazione della politica, e la sua dimensione spettacolare, sembrano aver reso incompatibili il distacco e il consenso. Merito – o colpa – anche dell’evoluzione dei media, come spiega bene Donatella Campus nel suo saggio intitolato “Lo stile del leader” (Il Mulino), che analizza il modo con cui nelle nostre democrazie le decisioni vengono prese e comunicate.

L’avvento dell’infotainment, cioè della commistione tra l’informazione e l’intrattenimento, ha aperto alla politica le porte di spazi comunicativi un tempo inesplorati o inesistenti: dai format di approfondimento e dibattito, come i talk show, ai programmi televisivi per le casalinghe, dalla stampa popolare alle riviste di gossip, ai giornali sportivi. Una volta che la politica entra nel «menu» di questi formati mediatici popolari, non può che diventare essa stessa politica pop.

Ormai la vita privata dei leader è un aspetto centrale della comunicazione politica delle democrazie contemporanee. Essere empatici, diretti e spiritosi è un valore aggiunto quando si tratta di convincere la gente a votarti.

Naturalmente c’è un rischio, e cioè che alla fine si licenzi lo statista e ci si tenga il battutista.

(© 9Colonne - citare la fonte)