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Cosa ci riserva
la politica d’autunno

Cosa ci riserva <br> la politica d’autunno

di Paolo Pombeni

(24 agosto 2016) Anche se la ripresa vera e propria dell’attività politica tarderà ancora una decina di giorni si intravvedono le prime mosse su quelli che saranno i posizionamenti in vista di ciò che si preannuncia come la grande battaglia d’autunno. Al suo centro ci sarà, come ormai sanno tutti, il referendum sulla riforma costituzionale e il suo esito, ma le prospettive sono diverse da quel che sembrava all’inizio dell’estate.

La situazione nel PD dovrà per forza di cose trovare un chiarimento. Renzi ha capito che trasformare il referendum in un plebiscito sulla sua persona non lo portava da nessuna parte e di conseguenza sembra avere cambiato strategia. Par di capire che si è messa da parte la prospettiva secondo la quale una vittoria del “no” avrebbe determinato da parte sua una drammatizzazione che doveva spingere alla fine della legislatura. Ovviamente la prima ragione per spiegare il cambiamento è che, come avevano notato vari commentatori, il potere di scioglimento è nelle mani del Capo dello Stato sentiti i presidenti di Camera e Senato (non esattamente due figure che lavorano in sintonia col premier). Ciò significa che in caso di vittoria dei contrari alla riforma le inevitabili dimissioni del governo in carica avrebbero semplicemente aperto una fase di ricerca di soluzioni alternative e solo nel caso queste si rivelassero impossibili si ricorrerebbe allo scioglimento anticipato della legislatura.

Cosa significa questo? Che se in caso di vittoria del no Renzi mantenesse l’idea di fare il famoso Achille che si ritira sdegnato sotto la tenda, la gestione della ricerca di una soluzione per un nuovo governo non sarebbe più nelle sue mani, né lui dispone di un “vice” a cui lasciare la delicata partita in attesa di tornare successivamente sulla scena. Come è facile capire, una prospettiva del genere di quella appena immaginata rafforzerebbe tutte le spinte interne al PD a far fallire il referendum e indurrebbe tutto il variegato antirenzismo italico a far fronte comune a tutti i costi, incluso quello di far passare dopo la fine del governo Renzi uno scialbo “governo di scopo” basato su ambigui lasciapassare (astensioni?) dei vari fronti oggi contrapposti. Prospettiva disastrosa, ma che difficilmente il Capo dello Stato potrebbe seccamente bocciare a priori.

Se invece diventa chiaro che comunque vada il pallino per la decisione sul dopo Renzi resterà nelle mani del segretario dell’attuale partito di maggioranza, cioè il PD, cioè Renzi medesimo (che anche nel suo partito è ancora in maggioranza), allora l’ipotesi di usare la vittoria del no come clava per un ribaltone diventa irrealistica. Certo il Renzi II (o comunque un governo da lui sponsorizzato anche senza una sua partecipazione in prima persona) non sarebbe quel che si dice un governo forte, ma non si vede quale vantaggio ne trarrebbe la minoranza PD, la quale infatti cerca di sparare le sue cartucce ora, in modo da contrattare adesso un appoggio al “sì” ottenendo una certa contropartita (qualche pontiere illustre, come Vasco Errani, ci sta provando).

Il centrodestra stesso è spiazzato da questo quadro. Da un lato non manca chi semplicemente pensa che un Renzi battuto al referendum, presumibilmente per poco, potrebbe essere spinto ad un successivo governo di larghe intese con la rinnovata Forza Italia che lascia intendere la disponibilità a riprendere subito in mano la riforma costituzionale per farne una nuova versione da far approvare in tempi brevi (e magari con una maggioranza che eviti il referendum). Sarebbe una risposta per non buttare a mare una esigenza di ristrutturazione dei nostri apparati costituzionali su cui in realtà concordano in molti (pasdaran di vario colore a parte). Dal lato opposto ci sono quelli che assolutamente non vogliono un esito di questo tipo, innanzitutto Salvini e i Cinque Stelle, che infatti stanno facendo di tutto per radicalizzare lo scontro in modo da andare se non allo scioglimento anticipato della legislatura (che in fondo ben pochi vogliono, per banali ragioni di bottega), ad un finale drammatizzato e lacerato nell’ultimo anno in modo da giungere alle urne del 2018 con un paese in piena crisi di nervi (cosa che giudicano assai favorevole al loro successo).

Tutto questo suppone pero una vittoria del “no” che non è affatto scontata. Per quanto sia, i sostenitori di quella tesi rimangono una armata Brancaleone, che mischia politicanti di mestiere e idealisti innamorati delle loro tesi fuori della attuale realtà storica. In tempi di confusione globale può anche darsi che le circostanze favoriscano questa miscela come detonatore di un’opinione pubblica disorientata. E’ altrettanto possibile (e per noi auspicabile) che invece la gente capisca che di fronte ad un situazione che sta implodendo nei bizantinismi delle sue classi dirigenti sia preferibile accettare la sfida di rivedere a fondo i meccanismi di governo del sistema politico. Il che ha i suoi rischi, come in politica è inevitabile, ma ha anche il fascino di scommettere che l’Italia sia ancora un paese che non è destinato al declino dell’immobilismo per conservare un assetto di distribuzione del potere che non regge più alla sfida della grande trasformazione che interessa tutto il mondo.
(da mentepolitica.it )

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