Agenzia Giornalistica
direttore Paolo Pagliaro

Quella spirale perversa
che intrappola l’economia

Quella spirale perversa <br> che intrappola l’economia

di Riccardo Illy

(19 settembre 2016) Si sprecano negli ultimi tempi le analisi sulle cause della minore crescita dell’economia italiana rispetto a quella europea, per non parlare di quella americana. Particolarmente interessanti sono risultate quelle riferite alle carenze infrastrutturali, all’inferiore livello educativo, alla struttura familistica delle imprese e al cattivo funzionamento dei servizi statali, burocrazia e giustizia in testa. Tutto vero, però ci sono altri due fattori ineluttabili che, nonostante vengano poco considerati, hanno un impatto forse ancor più determinante sull’andamento del Pil italiano; entrambi cominciano con la lettera D.

Il primo è la demografia; la nostra popolazione è sostanzialmente stabile da decenni, salvo una recente impennata dovuta al saldo migratorio positivo che ha superato quello naturale negativo. La natalità è la più bassa d’Europa (1,3 figli per donna) e la popolazione è una delle più anziane; l’insieme dei fattori demografici porta a una riduzione della popolazione attiva (quella occupabile) e a una compressione dei consumi che accompagna l’invecchiamento dei consumatori.

Il secondo è il debito; fra il 1973 e il 1992 è raddoppiato, passando dal 50% al 105%; negli anni successivi si è barcamenato fra il 100 e il 120% e dall’inizio della nostra recente depressione, iniziata nel 2008, è schizzato fino a superare il 130%. Una minima parte del deficit di bilancio che è stato finanziato con il crescente debito è servito a fare investimenti, che avrebbero portato un successivo beneficio strutturale e duraturo; il grosso è servito a finanziare una spesa corrente poco produttiva che ha comunque sostenuto, solo negli anni in cui è stata effettuata, la crescita del Pil.

Raggiunta la soglia che probabilmente per l’Italia rappresenta il limite di sostenibilità del suo debito, un po’ per le regole europee un po’ per quelle del mercato, questo non è potuto più crescere; anzi deve ora essere ridotto. Ciò comporta da un lato che una quota significativa della spesa pubblica, pari a circa l’1,5% del Pil, sia destinata agli interessi sul debito (non concorrendo alla crescita economica) e dall’altro che il deficit non debba far crescere il debito più del Pil. In sostanza il deficit ammissibile è per l’Italia inferiore al 3% permesso ai paesi in regola con rapporto debito/Pil del 60%. Siccome anche la spesa pubblica, inclusa la parte in deficit, concorre alla formazione del Pil, minore la quota di spesa in deficit minore la crescita del Pil. Un recente studio ha proprio dimostrato come la crescita dell’economia italiana, depurata dall’apporto della spesa pubblica, sia in realtà allineata a quella dei migliori partner europei. Siamo in sostanza intrappolati in una spirale perversa: causa il debito elevato dobbiamo comprimere la spesa pubblica (che al netto di interessi e previdenza è già tra le più basse dei paesi occidentali) la quale a sua volta comprime il Pil con il risultato di crescere meno e di mantenere un rapporto debito/Pil a livelli allarmanti. Tutto ciò, tra l’altro, con tassi di interessi che sono i più bassi dal dopoguerra; il giorno in cui dovessero aumentare anche questo equilibrio malsano si romperebbe e rischieremmo nuovamente l’insolvenza.

Per uscirne occorre un colpo di reni che intervenga o sul debito, con una misura straordinaria per ridurlo, o sul Pil, con una misura straordinaria che ne stimoli la crescita. Il problema sta nel fatto che è difficile trovare una misura del primo tipo (come una imposta) che non influenzi negativamente il Pil oppure una del secondo tipo (come un sussidio) che non influenzi negativamente il debito. Occorre far cassa senza aumentare i tributi (a esempio vendendo concessioni o beni dello Stato) o stimolare la crescita senza usare risorse pubbliche (a esempio obbligando il rinnovo del parco automezzi o la ristrutturazione ai fini energetici degli immobili). Attuando le ultime proposte a beneficiarne sarebbe non solo l’economia ma anche l’ambiente e la nostra salute.

(da inpiu.net)

(© 9Colonne - citare la fonte)