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direttore Paolo Pagliaro

Emergenza simpatia
per Matteo Renzi

di Paolo Pagliaro

(7 novembre 2016) "La simpatia è un elemento che concorre alla formazione della leadership ed è un valore che fa sempre bene alla salute, anche in politica". Questo diceva Fausto Bertinotti nel 2005, occupandosi di Berlusconi.

Il rapporto tra simpatia e politica è stato sempre molto stretto, come hanno notato illustri pensatori di ogni epoca. Ma mentre nessuno si aspettava che De Gasperi o Togliatti fossero anche simpatici, da Berlusconi in poi – ha scritto un cronista attento come Filippo Ceccarelli - il fattore S è diventato decisivo anche nella politica italiana: e la simpatia, arbitrario moto dell'animo, molla complessa, ambigua percezione, è andata al potere, inesorabilmente perdendo un po’ della sua autenticità.

Berlusconi teorizzava che l'importante fosse creare il clima giusto, farsi concavo o convesso a seconda dell'interlocutore e in ogni caso restare simpatici. Nelle istruzioni ai candidati alle amministrative, marzo 2002, si poteva leggere la seguente esortazione: “dovete chiamare la gente per nome, che per ciascuno è la musica più bella da sentire. E fare sempre dei complimenti: che bella cravatta, caro amico, che bel sorriso, signora”.

Naturalmente la simpatia non è una tecnica, ma un dono del Signore. Chi non ce l’ha non se la può dare. E chi ce l’ha rischia di perderla, come ha ricordato ieri Oscar Farinetti prima alla Leopolda e poi al Corriere della Sera: “noi renziani stiamo diventando antipatici” ha detto l’imprenditore amico del premier. “E Renzi – ha aggiunto - sta cadendo nella sindrome del primo della classe, a volte risulta antipatico anche quando dice cose vere. Sia più se stesso, riveli di non avere poi tutte queste certezze e di essere anche lui pieno di dubbi. La gente apprezzerà”.

Il tema è posto.

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