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Richiedenti asilo
un dramma greco

di Bianca Benvenuti

(5 dicembre 2016) L’entrata in vigore del discusso accordo di cooperazione tra la Turchia e l’Unione europea, Ue, per fermare il flusso di migranti irregolari lungo la rotta balcanica ha aggravato il sistema di recezione dei richiedenti asilo in Grecia, un Paese già condannato dalla Corte di Strasburgo nel 2011 per le degradanti condizioni di accoglienza. In 60 mila attendono il completamento del processo di richiesta asilo nel Paese, di cui 13 mila vivono nelle isole del Mar Egeo, bloccati dal sopracitato accordo in campi fatiscenti. Dal canto suo, il governo greco lamenta di essere stato lasciato solo dall’Ue e da quegli stati membri che hanno esposto l’esistente crisi di solidarietà rifiutandosi di accogliere alcuni dei migranti ospitati in Grecia.

Una delle prime e più discusse misure Ue per contrastare la cosiddetta crisi migratoria è stato il piano di ricollocazione di 160 mila richiedenti asilo, che, secondo un sistema di quote, avrebbe dovuto diminuire la pressione sui Paesi ai confini dell’Unione, distribuendo i migranti tra gli stati membri.

Secondo la decisione del Consiglio europeo del settembre 2015, la Grecia avrebbe dovuto beneficiare del ricollocamento di 66.400 richiedenti asilo in due anni, ma ad oggi poco più di 5 mila persone sono state effettivamente trasferite, numeri ben lontani dall’obiettivo della Commissione di trasferire 6 mila migranti al mese.

Il meccanismo di ricollocazione è partito con estrema lentezza a causa dell’opposizioni di alcuni stati membri: la più chiassosa è stata quella del Primo Ministro ungherese Viktor Orbàn, che si è spinto fino a promuovere un refrendum che non ha raggiunto il quorum, per dimostrare l’opposizione del popolo ungherese al piano di Bruxelles e mettendo il discussione la supremazia del diritto comunitario su quello nazionale. Anche gli altri Paesi del gruppo Visegrad - Polonia, Repubblica Ceca e Slovacchia - si sono uniti al coro di proteste contro questa misura, proponendo un alternativo sistema basato sulla “solidarietà flessibile”.

Dall’altra parte dello schieramento, Italia e Grecia sono sempre più risolute nel denunciare la grave mancanza di solidarietà sulla gestione dei profughi. Yannis Mouzales, ministro greco per le politiche migratorie, ha recentemente esortato la Commissione ad un maggiore impegno, appoggiando al contempo la proposta di Matteo Renzi di imporre sanzioni sugli stati che rifiutano di accogliere migranti. Non è tuttavia chiaro in che modo tali “multe per poca solidarietà” potrebbero contribuire alla risoluzione della questione, mentre è evidente produrrebbero una disparità di trattamento tra gli stati che possono e quelli che non possono permettersi di pagare.

Gli ostacoli alla buona riuscita del piano non sono solo di natura politica. Oggi, in Grecia sono tre le alternative a disposizione dei richiedenti asilo presenti sul territorio: restare in Grecia, essere deportati in Turchia o nei loro Paesi d’origine o riuscire ad andare verso un altro Paese dell’Ue. Per quest’ultima e più desiderata opzione, il migrante può far richiesta di ricongiungimento familiare, posto che abbia un familiare di primo grado in un altro Paese membro, o sperare nella ricollocazione. Atene non tiene il passo e la sua arrugginita macchina burocratica arranca nei vari iter burocratici, determinando una diluizione nei tempi di permanenza dei migranti in Grecia.

Ad esempio, la procedura di ricollocazione dovrebbe svolgersi entro due mesi da quando gli Stati comunicano la disponibilità di posti, ma nella realtà ci sono migranti che aspettano anche sei o sette mesi in appositi centri d’accoglienza. La tempistica è motivata anche dal fatto che i Paesi membri che danno disponibilità di posti per la ricollocazione hanno la possibilità di valutare caso per caso ed eventualmente negare il trasferimento, senza dover motivare tale scelta.

A peggiorare ulteriormente la situazione, secondo dati del governo greco, un migrante su sette ha rifiutato di trasferirsi o ha abbandonato il programma, un rifiuto definito oltraggioso e inaccettabile dal Presidente della Commissione Jean-Claude Junker.Molti richiedenti asilo sono riluttanti a trasferirsi in Paesi considerati poveri, o hanno paura di finire lontani da amici e parenti, in una nazione di cui non conoscono neanche la lingua.

Questo dato nasconde uno dei limiti più evidenti del sistema, che non tiene conto delle preferenze dei migranti. Inoltre, la procedura di ricollocazione è aperta per persone appartenenti a nazionalità il cui tasso di riconoscimento di protezione è pari o superiore al 75% sulla base dei dati Eurostat, al momento solo siriani ed eritrei.

Questa norma ha aggravato il clima di discriminazione tra nazionalità di migranti, con i siriani avvantaggiati e altre nazionalità, come quella afgana, cui viene negato di beneficiare di eguali opportunità.

Secondo Dora Oikonomou, responsabile del progetto per il ricollocamento di Praksis (una sorta di Caritas nostrana), alcuni dei richiedenti accolti presso le strutture dell’associazione hanno deciso di tornare illegalmente in Turchia dopo che la loro richiesta di ricollocamento era stata rigettata dal paese membro dell’Ue o dopo essere stati accettati da alcuni Paesi, quali la Romania o la Bulgaria.
Il fenomeno di traffico di essere umani “al contrario”, cioè verso la Turchia invece che verso l’Europa, non è ancora ben documentato, ma sono in aumento le persone che decidono di perseguire questa strada.

Mentre sono sempre più evidenti i limiti della procedura di ricollocazione, la Grecia continua ad impegnarsi nella buona riuscita dell’accordo Ue-Turchia, costringendo nelle isole, ormai trasformatesi in carceri a cielo aperto, tutti i migranti arrivati dopo il 20 di marzo.

I recenti attacchi contro i campi nell’isola di Chios dimostrano che la situazione è incandescente e rischia di esplodere da un momento all’altro, se non si trovano soluzioni di lungo periodo. Con l’accordo in bilico a causa del raffreddamento nelle relazioni Ue-Turchia, potremmo presto sentire parlare di una nuova crisi e la Grecia si troverebbe proprio tra l’incudine e il martello.

(da affarinternazionali.it)

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