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Il protezionismo c’era
anche prima di Trump

di Paolo Pagliaro

(7 febbario 2017) Donald Trump darà un forte impulso al protezionismo, ma non si può dire che l’abbia inventato lui. Solo nei Paesi che compongono il G20, le barriere elevate dal 2008 al 2016 sono state oltre 3.500, Secondo uno studio presentato oggi da Sace, gli Stati Uniti - terzo mercato di destinazione dell'export italiano - in media hanno introdotto una misura protezionistica ogni quattro giorni, per un totale di 1084 limitazioni. Seguono India, Russia e Gran Bretagna. L’Italia ha adottato 207 misure protezionistiche ed è al nono posto in questa classifica.
Il protezionismo è spesso un boomerang, perché i Paesi che ne risentono di più sono gli stessi che impongono le limitazioni, Cina e Stati Uniti in testa. Ma ne hanno un danno anche Germania, Italia e Francia, ovvero i Paesi esportatori.

Quasi un quarto di queste limitazioni – che spesso consistono in un eccesso di certificazioni, etichettature e regole doganali - impongono l’obbligo di avere almeno una certa percentuale di un prodotto o servizio realizzato nel Paese, e questo vale soprattutto per prodotti elettronici e veicoli.
Nell’annuale mappa dei rischi pubblicata da Sace il quadro è quello di un mondo sempre più diviso, caratterizzato da un forte ripensamento della globalizzazione, con una dicotomia crescente tra mercati avanzati ed emergenti, segnati da elevati livelli d’indebitamento, tensioni valutarie e instabilità geopolitica. Aumentano i rischi per chi esporta in Medio Oriente, Nord Africa, America Latina. Ma non mancano aree in controtendenza: i Paesi andini (Colombia, Perù, Cile), dell’area Subsahariana e dell’Asia hanno rappresentato nel 2015 oltre 27 miliardi di euro di esportazioni italiane, più del doppio rispetto a Cina e India insieme.

 

(© 9Colonne - citare la fonte)