Agenzia Giornalistica
direttore Paolo Pagliaro

“We call it”:
artisti dall’Africa
subsahariana

Mostre
Le grandi mostre in programma in Italia e quelle che hanno l'Italia, attraverso i suoi grandi artisti, come protagonista nel mondo. Lo "Speciale mostre" è un viaggio tra capolavori, opere d'avanguardia e sperimentali, pittura e scultura, memoria e identità, storia e filosofia, un tributo all'arte e ai suoi protagonisti e un modo per scoprire quanto di buono fanno le istituzioni nazionali e locali per il nostro patrimonio culturale e di creatività.

“We call it”: <BR> artisti dall’Africa <BR> subsahariana

Fino al 2 aprile, la galleria Officine dell’Immagine di Milano ospita la collettiva “We call it - Africa” interamente dedicata al complesso e multiforme panorama artistico dei Paesi della cosiddetta Africa Subsahariana. Dimitri Fagbohoun (Benin), Bronwyn Katz (Sudafrica), Marcia Kure (Nigeria) e Maurice Mbikayi (Repubblica Democratica del Congo) sono gli interpreti invitati a raccontare, per la prima volta in Italia, le tante contaminazioni nell’arte di temi di grande attualità, concentrandosi su questioni socioculturali, identitarie e geopolitiche, particolarmente rappresentative della complessa realtà africana.

ROMA: DEL DRAGO E I CERCHI CROMATICI

“Fino al tempo di Matisse e Picasso, i pittori creavano quadri che servivano per essere visti dall'occhio. Oggi cerchiamo di agire direttamente sulla trasmissione dalla retina all'area cerebrale, ed io personalmente sull'area gratificante delle sinapsi edoniche”. Ad esprimersi così è stato Francesco del Drago, studioso della fenomenologia del colore, cui Il Museo Carlo Bilotti di Roma presenta, fino al 26 marzo, la prima ampia retrospettiva. Francesco del Drago, nato a Roma nel 1920 e morto nel 2011 ha percorso quasi un secolo di storia da protagonista, partecipando attivamente e con passione tanto alle trasformazioni artistiche che si sono susseguite nel Novecento, quanto ai cambiamenti politici. Ha tenuto numerose mostre a partire dalla partecipazione alla Biennale di Venezia nel 1954, ed è presente in molte collezioni pubbliche e private soprattutto europee e statunitensi. Intellettuale rigoroso e straordinario artista, indagò a lungo la fenomenologia del colore giungendo all’elaborazione del “Nuovo Cerchio Cromatico”. I contrasti cromatici e la giustapposizione di determinate forme concorrono nel creare uno stato di eccitazione nelle aree cerebrali deputate alla visione. Le sue ricerche teoriche sono state oggetto di conferenze in molte università del mondo, ma anche di scambio con i numerosi amici artisti: tra gli altri Guttuso e Birolli in Italia, Picasso, Pignon, Matta e i maestri del colore francese come Herbin e Dewasne a Parigi, dove si trasferì nel 1951. La mostra presenta una selezione di opere astratte fondamentali, che consentono di entrare nel pensiero e nella pratica artistica di Francesco del Drago.

VENEZIA: ARTICO, ULTIMA FRONTIERA

La mostra “Artico. Ultima frontiera”, fino al 2 aprile alla Casa dei Tre Oci di Venezia, presenta 120 immagini, in bianco e nero, di tre maestri della fotografia di reportage, quali Paolo Solari Bozzi (Roma, 1957), Ragnar Axelsson (Kopavogur, Islanda, 1958) e Carsten Egevang (Taastrup, Danimarca, 1969). La rassegna è un’indagine approfondita, attraverso tre angolazioni diverse, di un’ampia regione del pianeta che comprende la Groenlandia, la Siberia, l’Alaska, l’Islanda, e della vita della popolazione Inuit, di soli 150mila individui, costretti a gestire, nella loro esistenza quotidiana, la difficoltà di un ambiente ostile. La lotta con le difficoltà dell’ambiente, il passaggio, lento ma inesorabile, dallo stile di vita di una cultura millenaria a quella della civilizzazione contemporanea, cui si aggiunge il drammatico scenario del cambiamento climatico, figlio del surriscaldamento ambientale, sono i punti su cui s’incentrano le esplorazioni dei tre fotografi. Accanto alle potenti immagini di una natura infranta e al contempo affascinante, tre documentari arricchiscono il racconto delle regioni del Nord e delle popolazioni Inuit: SILA and the Gatekeepers of the Arctic, realizzato dalla regista e fotografa svizzera Corina Gama nel 2015; Chasing Ice, diretto nel 2012 dal giovane film-maker americano, Jeff Orlowski; Ice Hunters, prodotto nel 2015 da un team ceco-statunitense. Chiuderà la rassegna un’asta delle fotografie in mostra.

BOLOGNA: CAPOLAVORI DELLA RINASCITA MESSICANA

Un racconto struggente ed emozionante quello della mostra "La Collezione Gelman: arte messicana del XX secolo. Frida Kahlo, Diego Rivera, Rufino Tamayo, María Izquierdo, David Alfaro Siqueiros, Ángel Zárraga" che si tiene fino al 26 marzo, a Bologna, a Palazzo Albergati. Attraverso l’esposizione delle opere della Collezione Gelman, tra le più importanti raccolte d’arte messicana del XX secolo in cui primeggiano Frida Kahlo e Diego Rivera, è narrata la “Rinascita messicana” (1920-1960) e la storia degli artisti che ne sono stati protagonisti. La Collezione Gelman nasce nel 1941 quando Jacques Gelman e Natasha Zahalkaha, due emigrati dall’Est Europa, si incontrano e si sposano a Città del Messico: Jacques era un ebreo russo di San Pietroburgo, emigrato in Francia dopo la rivoluzione d’ottobre e arrivato nel 1938 in Messico, dove fa fortuna producendo i film comici di Mario Moreno, il Charlie Chaplin messicano. Nel 1943 Jacques commissiona a Diego Rivera il ritratto di Natasha: è l’inizio di una lunga avventura e di una grande collezione. I coniugi Gelman iniziano a collezionare le opere dei più grandi artisti messicani, tra cui María Izquierdo, David Alfaro Siqueiros, Rufino Tamayo e Ángel Zárraga. Nella loro collezione entrano anche le opere di Frida Kahlo e Diego Rivera, destinati a diventare tra le più famose coppie di artisti del mondo, sia per le loro opere che per la loro infinita, intensa e distruttiva storia d’amore.

AREZZO: NEL MONDO DEI NATIVI D’AMERICA

Fini al 25 marzo al Munacs (Museo Nazionale del Collezionismo Storico) di Arezzo vengono esposti oggetti di vita quotidiana, armi e costumi della Collezione Sergio Susani, universalmente riconosciuto come il massimo esperto europeo di storia degli indiani d’America e anche uno dei massimi collezionisti a livello mondiale. In collaborazione e con il patrocinio scientifico dell’Associazione Wambly Gleska di Firenze, che rappresenta ufficialmente i popoli nativi americani in Italia e in Europa, la mostra ha lo scopo di far conoscere una parte di questo popolo tutt’altro che "selvaggio", che per centinaia di anni, ha popolato le grandi pianure degli Stati Uniti d’America, vivendo, prima della venuta dell’uomo bianco, in perfetta armonia con la natura, con profonda spiritualità e nel rispetto della Madre Terra e di tutti gli esseri viventi. Non esisteva il senso di proprietà ed era incomprensibile poter recintare uno spazio, proprio perché acqua, terra, animali ed alberi, erano considerati un dono del Grande Spirito alla collettività. Il bisonte, fonte di vita delle tribù delle Pianure, veniva cacciato nella quantità minima per il sostentamento, e da questo se ne ricavava tutto il necessario per la costruzione dei Tepee (le loro case mobili), vestiario, suppellettili e materiali per la costruzione di armi per la caccia e la guerra. Gli abiti in pelle, compresi gli stessi mocassini, borse e suppellettili, venivano ricamati prima dell’arrivo dei bianchi, con aculei di porcospino. Erano quindi colorati e cuciti con tendine ed intrecciati con svariate tecniche. Dopo Colombo il commercio delle conterie veneziane (perle e perline di vetro colorato) scambiate con pelli e pellicce per il mercato europeo, prese il sopravvento sull’utilizzo degli aculei (mai però abbandonati) e i costumi verranno ad essere più elaborati e colorati. Ogni tribù utilizzò la propria tecnica di lavorazione di cui si possono vedere molti esempi nel percorso della mostra. Le prime armi erano costituite da lance, archi e frecce, coltelli di selce o di osso e mazze in pietra. In seguito, nella consueta forma di scambio con i bianchi “trading”, i nativi poterono utilizzare coltelli, asce in metallo e fucili. Alcune di queste asce dette Pipe- Tomahawk (dotate di un manico forato ed un fornello per fumare) venivano forgiate espressamente per questo mercato. Esempi sono presenti lungo il percorso della mostra mostrando i diversi tipi di personalizzazione preferiti dalle varie tribù. Conclude la visita la sezione dedicata alla spiritualità: sono infatti esposti manufatti che fungevano da tramite con il Grande Spirito: pipe sacre e tabacco il cui fumo saliva verso il cielo e stabiliva il contatto, ventagli di penne d’aquila (l’uccello che vola più in alto), il cranio di bisonte che rappresenta il Grande Spirito sulla terra nonché le erbe sacre.

(© 9Colonne - citare la fonte)