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Il sìstema maggioritario
e il tripolarismo imperfetto

Il sìstema maggioritario <br> e il tripolarismo imperfetto

di Paolo Pombeni

(14 giugno 2017) Se si vuole comprendere una delle ragioni del rinnovato amore per il sistema proporzionale, basta prendere in considerazione i risultati della recente tornata di amministrative. Qui, come è noto, per l’elezione dei sindaci vige un sistema maggioritario a doppio turno che è ormai sperimentato e che anzi nella percezione collettiva si ritiene funzioni bene per far prevalere la fisionomia del candidato al di là delle appartenenze partitiche.
Nella realtà non sempre è stato ed è esattamente così, ma indubbiamente ci sono elementi di verità in questa rappresentazione. Tuttavia non si può semplicisticamente immaginare che i voti degli elettori, specie a livello di ballottaggio, si indirizzino sulla base di valutazioni comparative circa la qualità dei due competitori in campo. Già nelle ultime tornate per l’elezione di sindaci di importanti città si era registrato quello che era stato definito “il voto a dispetto”, cioè l’appoggio ad un candidato non perché lo si ritenesse più qualificato del suo competitore, ma per scelta ideologica di contrapposizione alla area politica di quest’ultimo. I casi clamorosi erano stati quelli di Torino e di Roma, dove su Appendino e Raggi si erano concentrati molti voti di elettori del centro e della destra che volevano “punire” il PD.
Tutto legittimo ovviamente, salvo che nei fatti queste dinamiche generano risultati che poi non sempre si dimostrano all’altezza delle aspettative. Nel caso attuale c’è però un aspetto molto interessante e che forse non viene analizzato in maniera completa, ed è la peculiare posizione in cui viene a trovarsi il M5S. Si è scritto e detto che questi risultati elettorali registravano una sconfitta delle ambizioni del movimento di Grillo e Casaleggio e naturalmente c’è anche questo aspetto, perché esso aveva lasciato crescere l’aspettativa di essere la componente alternativa con cui i partiti tradizionali avrebbero dovuto fare i conti. Bisogna aggiungere, per dovere di cronaca, che Renzi aveva contribuito a costruire l’immagine del duello a due fra il suo PD e i penta stellati.


I risultati delle urne hanno tenuto i Cinque Stelle fuori dei ballottaggi in tutte le città più importanti, dove invece la competizione è in genere, con l’eccezione di Verona, fra un candidato che si colloca nel centrodestra ed uno che si colloca nel centrosinistra (per la verità in blocchi di sigle, per cui la purezza identitaria della contrapposizione non è proprio al massimo). Quasi dovunque però, in termini di somma puramente aritmetica delle percentuali, far confluire quella dei grillini sull’uno o sull’altro sarebbe in grado di determinarne la vittoria.


Qui però si presentano i problemi. Per un movimento che ha sparato a zero contro i partiti tradizionali non sarà semplice dare indicazioni di voto in una direzione o nell’altra, anche tenendo conto del mantra sempre ripetuto dal M5S di non essere inquadrabile nelle vecchie categorie della destra e della sinistra. La soluzione più lineare sarebbe ovviamente che i vertici del movimento proclamassero di tenersi fuori della contesa, invitando i loro aderenti a non partecipare al voto di ballottaggio o lasciandoli liberi di fare le scelte che individualmente aggradano a ciascun elettore.
Questo però non può evitare che poi si “pesi” la risposta che questi inviti troveranno. Quanta nuova astensione ci sarà, se quella fosse l’indicazione del sacro blog? Certo non sarà facile distinguere nell’astensionismo quello dovuto all’adesione degli inviti del M5S e quello dovuto a molte altre cause, ma oggi le tecniche di analisi dei flussi sono raffinate e qualcosa si può scoprire.
Oltre a questo ci sarà però comunque da valutare quali saranno le scelte degli elettori che  al primo turno hanno votato per il candidato grillino e che al secondo si recheranno comunque alle urne. La quota di consensi che il M5S ha ricevuto è in vari casi piuttosto significativa (fra il 10 e il 18 per cento) ed è dubbio che siano tutti voti di “militanti”, perché in molti casi i voti alla lista sono stati in numero minore. Allora si potrà valutare se il movimento di Grillo raccoglie più consensi fra elettori orientati a destra o a sinistra, e se ci sono radicamenti geografici diversi per queste due inclinazioni.
In vista di future elezioni nazionali, che magari non saranno in autunno, ma che comunque arriveranno, si tratta di indicazioni preziose per intuire verso dove potrà evolversi la tattica del movimento. Non ci sarà quasi sicuramente un sistema di voto di tipo maggioritario, ma con il proporzionale la politica delle alleanze di governo diventerà inevitabile, nonostante possa essere posposta a dopo le elezioni (ed è questo che fa oggi preferire a molti il proporzionale rispetto al maggioritario). Anche se il rinvio alla supremazia della volontà della base è un mito ormai sfatato, è indubbio che non si potrà far finta di nulla di fronte alle inclinazioni della propria platea elettorale, soprattutto se la si vuole significativamente allargare.
E proprio l’esito di queste elezioni dovrebbe rendere edotti i vertici pentastellati che qualche volta si può contare sui “voti a dispetto”, ma poi, come insegna il caso di Roma, i loro frutti non sono quelli che si auspicavano. E soprattutto non è su quel genere di voti che si legittima una classe di governo.

(da mentepolitica.it )

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