di Paolo Pagliaro
(3 ottobre 2017) La Cassa Depositi e Prestiti è nata a Torino prima dell’Italia. Si chiamava Cassa Piemontese e negli anni Cinquanta dell’Ottocento fu incaricata di promuovere l’unificazione attorno a casa Savoia. La sua prima grande opera fu il finanziamento della linea ferroviaria tra Roma e Napoli. L’idea di fondo era quella di fare buon uso del risparmio raccolto dalla rete capillare degli uffici postali e telegrafici. Un risparmio che col tempo e il benessere è andato crescendo e che oggi vale 250 miliardi di euro. Raccontando per Laterza la storia di Cassa Depositi e Prestiti, gli economisti Marcello De Cecco e Gianni Toniolo sapevano di andare al cuore di alcune questioni centrali della storia economica e politica italiana: la tensione tra centralismo e autonomie, il progressivo estendersi degli strumenti di intervento dello Stato nell’economia, la politica e la gestione del debito pubblico.
Oggi la Cassa – di proprietà del Tesoro, con una quota di minoranza posseduta da diverse fondazioni bancarie – ha attività per 410 miliardi di euro, è il terminale italiano per l’assegnazione diretta dei fondi europei stanziati dal piano Juncker, controlla direttamente o indirettamente una lunga serie di società da Fincantieri a Terna, da Sace al Fondo strategico italiano ma possiede anche il 25% di Eni, il 26% di Italgas, il 30% di Snam, il 35% di Poste Italiane. La Cassa presta soldi agli enti locali e sempre più spesso anche a imprese private. Per alcuni dei finanziamenti concessi o negati non sono mancate le polemiche, inevitabili quando si ritiene che nelle scelte della Cassa abbia avuto qualche peso l’opportunità politica oltre che la convenienza economica.
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