Agenzia Giornalistica
direttore Paolo Pagliaro

L’Italia cancella
la parola “fallito”

L’Italia cancella <br> la parola “fallito”

di Paolo Pagliaro

(12 ottobre 2017) La legislatura che sta per concludersi – giudicata chissà perché incolore – ha permesso di varare alcune riforme attese da decenni. Dal riconoscimento delle unioni civili all’abolizione del finanziamento pubblico dei partiti, dal processo telematico alle leggi contro il caporalato alla riforma del terzo settore e del servizio civile. Ieri il Parlamento più giovane nella storia della Repubblica, composto in maggioranza da deputati e senatori al loro primo mandato, ci ha dato un’altra legge di grande rilievo eliminando dall’ordinamento la parola “fallimento”. Eravamo rimasti uno dei pochi paesi in cui una disavventura imprenditoriale provocava l’inibizione a intraprendere nuove attività e in più uno stigma morale riassunto nella parola fallito.

In altre società, altre culture ed economie non riuscire a far quadrare i conti della propria azienda – soprattutto in anni di recessione - non è considerato un disonore, quando naturalmente non c’è dolo. E non comporta l’automatica espulsione dal circuito del lavoro e del credito.

D’ora in poi anche in Italia la crisi verrà considerata come eventualità in qualche modo fisiologica per un'impresa. Approvando la legge delega per la riforma del diritto fallimentare, vecchio di oltre 80 anni, il Senato ha sostituito il fallimento con la liquidazione giudiziale, ha messo fuorilegge la parola fallito e ha introdotto nuove procedure che hanno lo scopo di preservare per quanto possibile il patrimonio produttivo e finanziario di un’ impresa, consentendo di intervenire prima che la situazione diventi irreparabile.

(© 9Colonne - citare la fonte)