di Paolo Pagliaro
(15 dicembre 2017) La sindaca leghista di Cascina ha detto in tv che gli stipendi dei medici calabresi dovrebbero essere inferiori a quelli dei medici emiliani, perché in Calabria c’è più malasanità che in Emilia. Sembra di capire che la sindaca avrebbe ridotto lo stipendio anche a Renato Dulbecco, il Nobel per la medicina nato a Catanzaro.
D’altra parte i tagli dei costi della sanità sembrano essere diventati l’ossessione della politica. Nel 2016 in Italia la spesa pubblica pro capite per la sanità è stata inferiore del 35% rispetto a quella dell’Europa Occidentale. La tendenza è a un progressivo avvicinamento ai livelli di spesa dei Paesi dell’Est. Anche per quanto riguarda la spesa privata il gap è del 16%, sia pure con fortissime differenze regionali: in Valle d’Aosta e Trentino Alto Adige ogni cittadino spende 800 euro l’anno, in Campania e Sardegna poco più di 300.
I dati sono del CREA, il Consorzio per la Ricerca Economica Applicata dell’Università di Tor Vergata, che ha presentato in Parlamento il suo XIII Rapporto dal titolo inquietante: “Il cambiamento della Sanità in Italia tra transizione e deriva”.
La deriva è quella che rischia il servizio sanitario nazionale, che dovrebbe garantire l’assistenza a tutti i cittadini, finanziato dallo Stato attraverso la fiscalità generale ma sempre più spesso con il contributo degli assistititi. Succede così che l’anno scorso 4 milioni e 300 mila famiglie abbiano dovuto limitare le spese sanitarie per motivi economici e oltre 1 milione 100 mila le hanno annullate del tutto. Hanno rinunciato a curarsi soprattutto le persone nella fascia da 51 a 69 anni. Il fenomeno è allarmante soprattutto al Sud, dove non si cura per motivi economici l’8,4% delle famiglie.