Agenzia Giornalistica
direttore Paolo Pagliaro

Una cosa è chiara:
oggi conta chi conta

di Michele Mezza

Inizia oggi la collaborazione di Michele Mezza,  giornalista, saggista e docente di marketing e nuovi media all’Università Federico II di Napoli

 

Il 28 maggio  la CGIL annuncia un video evento impaginato nel programma della Digital week, che andrà in scena a Milano come segnale della ridiscesa in campo della città.Già in se la notizia riveste un certo interesse. Proprio il sindacato più lavorista, quale è appunto la CGIL, decide di entrare nell’arena della smaterializzazione e dell’immagine che si sostituisce al prodotto, quel è appunto la settimana del design digitale, che di solito si combinava con quella kermesse  dell’eleganza che era il Salone del mobile.
Al centro della convention, che combinerà interventi dal vivo a collegamenti su piattaforma video, il tema del piano regolatore della connettività e delle intelligenze. E’ interessante vedere come questo tema che era stato pensato per un evento programmato a metà dello scorso marzo e sospeso per l’avvio della pandemia, risulti oggi trasformato nella sua stessa essenza, il senso e il valore dei dati digitali, e nei protagonisti che sono chiamati ad interpretarli.
Proprio domenica su Repubblica Maurizio Molinari, il neo direttore ancora sotto esame del tradizionale pubblico del giornale fondato da Eugenio Scalfari che sta misurando  i termini di un suo sospettato spostamento della linea editoriale verso temi più liberisti,con un editoriale a forti tinte sociali, forse anche per consolidare l’identità del giornale rispetto ad una possibile concorrenza di una nuova testata annunciata dal vecchio proprietario De Benedetti, ha aperto il fronte di un possibile “nazionalismo digitale”.
Nell’articolo si chiedeva maggiore tutela per i lavoro precari della cosiddetta Gig economy, sollecitando un ruolo più attivo degli stati europei rispetto alla pressione dei giganti del web sia privati che  dei grandi stati asiatici. Diciamo né con la Silicon Valley né con la Cina, per esemplificare. Entrambi i temi sono cresciuti con il coronavirus.
I lavori, con il distanziamento sociale e il ricorso allo smart working si sono smaterializzati ancora più velocemente, e in mancanza di regole e controlli, si sono precarizzati in maniera più robusta, mentre l’uso massiccio delle piattaforme dominanti ha regalato dati e dunque capacità di controllo sociale ai grandi monopolisti occidentale o orientali.
In questa tenaglia il ruolo del sistema nazionale, sia istituzionale che sindacale sembra svanire in una vana ricerca di controparti. La stessa sorte dell’app Immuni dimostra l’irrilevanza di una strategia nazionale che non affronti il nodo reale della questione: la proprietà e l’uso dei dati. L’accordo fra Google e Apple, i proprietari dei sistemi operativi che controllano il 94% dei terminali mobili, ha derubricato le app nazionali a pura esercitazione accademica, rispetto a una soluzione che verrà annunciata dai due monopolisti il prossimo 15 maggio.
Ma il tema che sta crescendo e che si porrà anche in occasione del confronto promosso dalla CGIL, riguarda da una parte il ruolo che  proprio la funzione di calcolo sta assumendo nel governo del paese, un ruolo sempre più prescrittivo e predittivo  sui comportamenti e le decisioni delle istituzioni, che non possono più prescindere nell’azione di contrasto al virus da indicatori  numerici e trend computazionali, ormai conta chi conta, chi è in grado di elaborare un sistema matematico in cui sintetizzare uno scenario; il secondo aspetto riguarda proprio il tema della relazione fra i poteri di calcolo.
Il dibattito sulla privacy violata da parte di soluzioni che esporrebbero il cittadino ad un controllo eccessivo da parte dello stato, rimuove completamente il fatto che questo controllo viene esercitato ormai da vari anni da pochi gruppi industriali, il cosiddetto  GAFAM (Google, Amazon, Facebook,Apple, Microsoft) che sulla base di un dominio assoluto di algoritmi e di big data sono oggi in grado di combinare ed elaborare ogni genere di informazioni sulle scelte e comportamenti individuali di almeno 4 miliardi di loro utenti. Come scrive Dominique Cardon nel suo saggio “Cosa sognano gli algoritmi”(Mondadori Università) “più che a conoscere la realtà, tali indicatori mirano a guidare i comportamenti”.
Ora diventa essenziale comprendere come poter interagire con questo scenario, senza rifugiarsi in forme di neo luddismo o di nostalgico arroccamento anti tecnologici. L’uscita della CGIL ci annuncia una riflessione  propositiva, basata sull’idea di un negoziato sociale, una contrattazione del numero come prassi di cittadinanza. Proprio le città dovrebbero essere fra i soggetti negoziali , in grado nella loro strategia di trasferire servizi ed attività, dunque ricchezza, da un ambito analogico ad uno digitale, producendo risorse e profitti per i titolari di algoritmi e dati, di condizionare proprio l’uso e la struttura di queste stesse piattaforme. E’ accaduto a Londra, dove proprio qualche settimana prima del Lockdown il sindaco della metropoli Khan ha messo in scacco Uber chiedendo di condividerne i dati, oppure a Copenaghen dove si è creato uno spazio municipale di interscambio dei big data. In Italia sono aperti cantieri digitali a Milano e Napoli, dove sindacati e università stanno allestendo con le rispettive amministrazioni appunto dei piani regolatori della connettività e delle intelligenze per interferire con i progetti del 5g e della circolazione dei dati sulla base di interessi e necessità pubbliche.
In un futuro in cui il rischio di recidiva del contagio ci costringerà a calcolare permanentemente  i fattori  di possibile trasmissione della malattia e con essi definire parametri di comportamenti sociali l’irruzione di un interesse pubblico, di un punto di vista sociale nel mercato rigidamente controllato dai proprietari delle piattaforme potrebbe aprire una fase di ecologia benefica del calcolo.

 (11 mag 2020)

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