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Maxi-decreto: un tampone
ma senza terapia intensiva

Maxi-decreto: un tampone <br> ma  senza terapia intensiva

di Michele Mezza

(14  maggio 2020) La metafora di questi tempi è sin troppo facile, ma la manovra economica del governo la rende obbligatoria. Il maxi decreto che finalmente ha preso forma nel gioco di spinte e controspinte, rivela e soccorre i punti di sofferenza del paese, cercando di mitigare il disorientamento di chi all’improvviso si è trovato senza risorse né possibilità di procurarsele, ma non indica una strategia  di sviluppo o comunque di ripresa, per un sistema economico che nei prossimi mesi sarà chiamato  a stressarsi per rispondere al debito accumulato.

Analizzando ogni singola misura si trovano soluzioni  inevitabili  e necessarie in questa  emergenze. La rete di sicurezza che si è distesa sotto al paese sicuramente è coerente con i problemi. Mette al sicuro, se la macchina burocratica non si oppone, il troncone del lavoro dipendente.  Individua e cerca di soccorrere le sacche di precariato e di lavoro nero, aiuta quel pulviscolo di piccoli e piccolissimi esercizi e artigiani ad arrivare all’autunno, superando un’estate senza turismo e senza l’indotto della mobilità, nazionale ed estera. Rinfranca gli apparati amministrativi sotto pressione, come scuola e sanità. Riesce a limitare i disagi fiscali e le pendenze per tutto quello scacchiere di economia relazionale, dalla ristorazione alle mille forme di servizio alle persone, che oggi si trovano imbrigliate dal distanziamento. Trova il modo per ridurre  le disconnessioni fra sistema famigliare e modello di funzionamento sociale, sopperendo alla mancanza di scuole materne e nidi con bonus e contributi. Lo stesso fa per la prossima stagione balneare, incentivando periodi di soggiorni anche per le famiglie che da anni saltano la scadenza.
Ma è il capitolo investimenti e strategie che rimane in bianco. Intanto se l’obbiettivo è di non lasciare soli alcuno, sicuramente non  viene raggiunto per imprese e banche che rimangono assolutamente sole di decidere cosa fare dei soldi che arrivano. Le banche ancora non hanno capito la musica, e ripetono il gioco del 2008, patrimonializzando i fondi governativi per coprire i buchi delle insolvenze e non per far girare le ruote delle imprese. Anche questa volta saranno pochi ci controlli e meno ancora le sanzioni. Le imprese medio e grandi faranno marketing di continuità. Come sempre useranno i fondi statali per continuare a fare a basso costo quello che sanno fare o che comunque ritengono conveniente fare ancora. Non si parla di politica industriale, non si trovano incentivi mirati per i settori strategici, non appaiono vincoli e indicazioni per segmenti vitali come la farmaceutica o la meccatronica o l’aerospazio, primati nazionali da difendere e orientare.
Sulle aree tecnologiche ancora niente: memorie, cloud, intelligenza artificiale, rimangono capitoli abbandonati alle amorevole cure dei monopoli multinazionali. Significativa da questo punto di vista   l’assenza di qualunque indicazione sul tema rete ad alta velocità, la fibra. Tim e cassa depositi e prestiti che stanno ballando da anni attorno al cadavere ricevono risorse ingenti e vario titolo ma per fare cosa? Lo stato che trova persino utile avere il piede nelle due scarpe che si contendono il progetto di rete nazionale in fibra non ritiene che sia questo il momento di mettere fine al braccio di ferro fra lobbies e imporre un indirizzo di sicurezza nazionale: gli ospedali sanno connessi? Le scuole avranno fibra? Le amministrazioni locali ? se non ne parliamo ora che distribuiamo 55 miliardi quando?
Infine gli apparati statali rimangono comunque eguali a se stessi. La sanità rimane innanzitutto rete ospedaliera, senza avere ancora una chiara politica di territorializzazione. Gran parte delle vittime di questi due mesi sono decedute a casa, per l’incapacità del sistema di curarle nei tempi e nei modi adeguati, tempi e modi per altro che avrebbero alleggerito di molto il carico ospedaliero in virtù della tempestività. Eppure ancora si legge di finanziamenti per le terapie intensive, mentre si chiuderà il mausoleo della Fiera di Milano, e non si parla di medici di base e di USCA come terminali primari delle risorse e delle organizzazioni tecnologiche per l’assistenza domiciliare.
La scuola ancora peggio: proliferano fondi per aule e device, poco o nulla sulla connettività, niente sulla didattica integrativa e di sostegno. Nell’Università poi grande sfoggio di assistenti che diventano professori, ma poco o niente per master, dottorati di ricerca, e scuole di perfezionamento. Soprattutto il tratto che collega la ricerca alla didattica non pare valorizzato né pare presidiata la progettazione di una scuola che inevitabilmente sarà più smaterializzata di prima e dove già è iniziata la fiera delle banalità fra apocalittici e integrati, fra il partito del gessetto e quello del click. In realtà come sempre, l’innovazione è combinazione e assortimento di linguaggi, mai svolta unilaterale e totalitaria. Ma chi riordina questo nuovo scenario?
Torniamo in corsia , e ci troviamo con troppi analgesici e pochissimi antibiotici e nessuna vitamina. Così il malato morirà sano.

(© 9Colonne - citare la fonte)