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Le donne di Mazzini / 3 - Sara Nathan e il "clan" inglese

Ritratti
Una galleria giornalistica di ritratti femminili legati all'Unità d'Italia. Donne protagoniste nell'economia, nelle scienze, nella cultura, nello spettacolo, nelle istituzioni e nell'attualità. Ogni settimana due figure femminili rappresentative della storia politica e culturale italiana passata e presente.

Le donne di Mazzini / 3 - Sara Nathan e il

Nella sua villa di Lugano Sara Nathan, qui rifugiatasi  dal 1865 per aver messo le sue ricchezze al servizio della cospirazione mazziniana, vedova italiana di un banchiere inglese diventata perno del Risorgimento italiano esule a Londra, veglierà e allevierà, con la dolcezza dell’amica affettuosa e la pazienza della più fedele delle adepte (con il nomignolo di “Sarina”) gli ultimi entusiasmi e le ombrosità di Giuseppe Mazzini: i più faticosi per la salute malferma, i più dolorosi per la presa d’atto di quanto il suo puro ideale di unità repubblicana - che da oltre 30 anni aveva trascinato schiere di giovani - venisse tradito proprio da quegli stessi giovani una volta invecchiati, Garibaldi in primis, che lo considerano ormai un ostacolo ai compromessi politici perseguiti da Cavour per unire l’Italia. Qui, a Villa Tanzina, in questa placida villa sulla sponda occidentale del lago di Lugano - che aveva ospitato la moglie ripudiata di Giorgio IV -, per 23 anni, spezzando l’esilio di Londra (ogni qual volta che nella Camera dei Lord si profilava un nemico), Mazzini tiene il quartier generale della sua cospirazione, quasi che la vista delle vette italiane della vicina Valtellina gli permettesse di superare lo scoramento per i tanti fallimenti ed il sangue versato dai patrioti e di tenere così in vita, con un rigore ai limiti dell’ascetismo, la sua missione universale di liberazione, guidato dal faro acceso del “Dio e popolo”. Da quando quindi, nel 1865, Sara ha comprato la villa da Abbondio Chialiva (carbonaro che aveva scoperto una miniera d’oro in Cile ed era tornato in Svizzera carico di soldi), Mazzini trova sempre ad accoglierlo Pietro, il giardiniere di Sara, che nel 1847, da agente di polizia a Milano, scovatolo in un nascondiglio segreto, invece di arrestarlo lo aveva aiutato a fuggire. E chissà quante volte Sara avrà visto il suo assorto ospite camminare in giardino così come lo ricorderà Romeo Manzoni, l'ideologo radicale del Canton Ticino (e creatore della sua prima fabbrica di orologi), che conobbe, ventenne, il Mazzini ospite di Sara: “All'ombra delle alte magnolie, nei vialetti occultati dai lauri e dalle camelie, in certi momenti dell'anno, in primavera soprattutto e in autunno, un personaggio misterioso si aggirava di tanto in tanto, pensoso e solingo, come sentisse il bisogno subitaneo e frequente di rimettere il suo spirito in comunione con la natura”, quindi  “risaliva per una scala a chiocciola e si rinchiudeva in uno stanzone dalle nude pareti, munito di un'unica finestra, e collasù, non veduto da alcuno lavorava dall'alba fino a sera”, “lavorava scrivendo, senza mai interrompersi, senza mai cancellare una parola, lettere, circolari, proclami, articoli di fondo per riviste e giornali italiani, francesi, inglesi; era un getto continuo, quasi uno scoppio vulcanico di pensieri alti, audaci, luminosi”. E non poteva che essere luminoso il piano che qui, a Villa Tanzina, nell'agosto 1867, vede Mazzini sostenere l'imminente azione di Garibaldi su Roma. Che però si oscura drammaticamente quando, ancora qui a Lugano, gli giunge la notizia della sconfitta di Mentana, con la mazziniana Helena Petrovna Blavatsky, la misteriosa fondatrice della Società teosofica, ferita e finita per sbaglio in una fossa comune e Garibaldi che lo accusa che, delle 3mila diserzioni che fecero fallire la sua campagna, la maggior parte erano di volontari di fede repubblicana. Ancora qui, nell’estate successiva, Mazzini organizza dei nuovi piani insurrezionali nel Nord che, nel 1869, tenteranno di sfruttare i moti popolari scoppiati dopo i rincari causati dalla tassa sul macinato, ai quali collabora attivamente Giuseppe, uno dei 12 figli di Sara (a Londra, lasciata la natìa Pesaro come moglie del banchiere inglese Moses Nathan, che si diceva fosse figlio naturale dei Rothschild, Sara aveva messo al mondo tre femmine e otto maschi). Per questa attività cospirativa Mazzini è espulso dal Canton Ticino ma, nella stessa estate del 1869, di nuovo ospite segreto di Villa Tanzina, vive accanto a Sara gli ultimi 16 mesi di clandestinità della sua vita. E in quel periodo, a Lugano, si ritrova a condividere la sua condizione di Profeta e di rinnegato proprio con un altro grande pensatore esule, Carlo Cattaneo, anch’egli grande amico di Sara. Insieme alla moglie inglese Anna Woodcock, Cattaneo si era rifugiato nel 1848 a Castagnola, vicino Lugano, dopo il fallimento delle Cinque giornate di Milano. Diventando una delle anime riformatrici del Cantone: fondatore del liceo di Lugano, promotore della costruzione del primo albergo di lusso luganese e della ferrovia del Gottardo. Eletto più volte deputato, si era sempre rifiutato di andare in Parlamento per non prestare giuramento. Una avversione alla corona che, negli anni di Villa Tanzina, valse ad avvicinare Mazzini - che nel 1867 aveva rifiutato una nomina a deputato - all’ideologo federalista. Il 2 febbraio 1869 Mazzini incontra per l’ultima volta l’amico, che 4 giorni dopo morirà, 68enne, con sulle spalle uno scialle di lana fatto dalla comune amica Sara. Lo stesso scialle che, il 10 marzo 1872, in un lettino di ferro, copriva le spalle dell’agonizzante Mazzini. Un anno prima, nel febbraio 1871, Mazzini aveva lasciato Londra, per l’ultima volta. Non avrebbe più rivisto l’amata stanzetta inglese, a Fulham Road, in cui viveva da 8 anni, piena di libri e di canarini che svolazzano liberi: l’intimo “tempio” del padre del Risorgimento italiano, diventato anche guida spirituale dei radicali inglesi, che verrà descritto a tinte mistiche dall’amica poetessa Harriet Hamilton King. Quasi sentisse che non sarebbe più tornato, è piena di malinconia l’ultima lettera che Mazzini invia da Londra alla 66enne contessa d'Agoult, scrittrice francese che si firma maschilmente Daniel Stern, ex compagna di  Franz Liszt, da sette anni diventata per Mazzini “amica e sorella di Dante”, confidente delle passioni culturali in  cui cerca sollievo dai tanti rammarichi. Giunto a Villa Tanzina da Londra, Mazzini promuove la nascita del giornale “La Roma del Popolo”, la critica voce dei mazziniani nella “loro” capitale conquistata non dal popolo ma da un re. Lo amministra Ernesto Nathan, figlio di Sara; in redazione il genero di Sara, Giuseppe Castiglioni, sposato alla figlia Ada. Inoltre da qui, nel novembre 1871, battezza la nascita del Patto di Fratellanza tra le società italiane operaie. In esso, sostenuto da Sara, mette le sue ultime energie, per l’ultima battaglia. Quella della fratellanza tra tutte le classi operaie, ultimo baluardo di una religiosità laica, in aperto contrasto con la Comune di Parigi ed il materialismo ateo di Marx. Ormai il sogno della Roma capitale di una Italia repubblicana è caduto, nel 1870, insieme alle rovine di Porta Pia e al corpo fucilato del caporale Pietro Barsanti, giustiziato per aver assaltato una caserma di Pavia al grido di "Viva Roma, viva la repubblica", l’ultima volta che si leverà il grido mazziniano in un tentativo di insurrezione. Si salverà invece, finendo esule a Londra, Giuseppe Nathan che, a maggio, aveva tentato una invasione armata muovendo dalla Svizzera verso la Valtellina. Ma, intanto, le condizioni di salute di Mazzini, tormentato da dolori allo stomaco e da una tosse incessante, vanno peggiorando. Nel febbraio 1872, sotto il falso nome inglese di George Brown, lascia Villa Tanzina e raggiunge Pisa, dove abita un’altra delle figlie di Sara, in cerca di un clima migliore. Janet, che lui chiama Giannetta, Mazzini l’ha vista nascere, 30 anni prima, a Londra. Qui, nel 1853, l’anno anche della nascita del suo Partito d'azione, ha festeggiato il matrimonio della ragazza con l’esule livornese Pellegrino Rosselli, il cui fratello, Sabatino, ha sposato anche un’altra delle tre figlie di Sara, Harriet. Da quest’ultimo matrimonio nascerà il musicista Giuseppe Emanuele (Joe) Rosselli, marito di Amelia Pincherle, padre di Carlo e Nello Rosselli, i martiri antifascisti.  Ma, in casa di Giannetta e Pellegrino, Mazzini andrà a morire, il 10 marzo 1872, alle 13.30. Al suo fianco gli amici genovesi Felice Dagnino e Adriano Lemmi ed il suo medico, Agostino Bertani, il cassiere dei Mille, il chirurgo della Repubblica romana che amputò la gamba di Mameli, anch’egli amico di Sara. Se i Nathan piangono l’amico, Bertani si attiva immediatamente per farne la reliquia laica del repubblicanesimo, per preservarne l’irrimediabile fine. Contatta il giorno stesso lo scienziato lodigiano Paolo Gorini, considerato uno scienziato pazzo, in realtà un genio nel suo campo, inventore di un metodo per pietrificare i cadaveri.  Gorini, malgrado abbia subito disperato per l’inizio della decomposizione della salma  causata dagli interminabili omaggi resi al feretro nel suo viaggio verso a Genova, interviene con alcune misteriosi iniezioni e, dopo una anno, il 10 marzo 1873, la salma di Mazzini, ormai diventata mummia, può essere offerta all’omaggio degli italiani. Sara si dissocia da subito da questo macabro rituale che, sa bene, Pippo avrebbe aborrito. Il suo omaggio alla memoria di Mazzini è di ben altra natura. E, proprio in quel marzo 1873, a Roma, dove è andata a vivere, inaugura la scuola femminile gratuita “Mazzini” nella quale, fino al 1882, ogni domenica si terrà una sorta di “messa laica”, la lettura e il commento de “I doveri dell’uomo”, il manifesto del pensiero mazziniano. Vi insegnano le sorelle Nathan, poi anche le nipoti.  Sara morirà nel 1882, un anno dopo la morte prematura del figlio Giuseppe, con il quale, aprendo un istituto di soccorso a Roma, ha condiviso la lotta contro la prostituzione della quale il figlio, a Londra, si è fatto paladino sostenendo la campagna dell’inglese Josephine Bluter. Il loro testimone ideale passerà nelle mani di Ernesto Nathan, dal 1907 al 1913 sindaco di Roma, che animerà di innumerevoli opere sociali, così laico e mazziniano da far circolare la voce di essere figlio segreto di Mazzini. Nel 1900 Ernesto, sposato peraltro ad una nipote dei fratelli Rosselli, donerà allo Stato italiano i documenti di Mazzini che la madre aveva amorevolmente raccolto in tutta Italia e all’estero. In esse c’è anche la storia del legame che unì il grande esule a Villa Tanzina, in cui la madre Sara, finita nel mirino della polizia sia a Firenze che a Milano, si era rifugiata quando Ernesto aveva 20 anni, nel 1865, insieme ai tanti fratelli. Un luogo che Giuseppe Mazzini frequentava già da una ventina di anni, ospite del carbonaro Chialiva che, da oltreoceano si era portato un busto di George Washington, collocato oggi sul lungolago, la villa abbattuta nel 1908. Qui a Villa Tanzina, nell’estate del 1848, Mazzini ha organizzato i rinforzi per sostenere, inutilmente, la resistenza lombarda contro l’Austria. Da qui, a gennaio 1849, è partito alla volta di Marsiglia dove, a marzo, lo ha raggiunto il messaggio di Goffredo Mameli che materializza il suo grande sogno: “Roma! Repubblica! Venite!”.  Qui si deve rifugiare quando, a giugno, soccombe la Repubblica romana e la sfida dei volontari di tutta Italia contro gli 80mila uomini di quattro diversi eserciti.  E getta le basi del faticoso lavoro che, per i tre anni seguenti, a Londra, lo vedrà riunire i reduci del ‘48 nel Comitato democratico europeo. A Villa Tanzina è di nuovo nel gennaio 1853 per preparare l'assalto degli operai di Milano alle caserme austriache. E qui, il 9 febbraio, lo raggiunge la notizia che la rivoluzione dei “barabba” è fallita, con una sessantina di vittime e lo strascico degli arresti. E da qui medita la riscossa che porterà, tornato a Londra, alla nascita del Partito d'azione, il braccio politico delle imprese garibaldine, il seme dal quale germoglierà il Partito d'Azione del 1942 ed il Partito Repubblicano. Da qui, nel 1854, tiene i contatti con Felice Orsini che in autunno ha già fallito l’insurrezione in Lunigiana e finirà presto arrestato. Da qui dipana il piano di d'insurrezione nel Mezzogiorno che finirà tragicamente, guidato da Pisacane, nel 1857. E ancora da Villa Tanzina, nel settembre 1859, con la Lombardia annessa al Piemonte, cerca inutilmente di fare in modo che Garibaldi, ormai in stretto dialogo con Cavour,  non guidi la spedizione dei Mille in nome del re sabaudo. Da qui, dopo Teano, contesta la consegna del Regno delle Due Sicilie nella mani di Vittorio Emanuele. Qui, nell'estate del 1862, riceve la notizia che, in Aspromonte, Garibaldi è stato fermato  a colpi di carabina dai piemontesi. E da qui, il 19 agosto, dieci giorni prima che il Generale finisca azzoppato, Sara lancia a Garibaldi un estremo appello a non abbandonare la causa repubblicana e lo stesso Mazzini: “La Patria è salva se sono uniti i due uomini che l’Italia ama e stima al i sopra di tutti”. E ancora, da qui, nel maggio 1863, Mazzini dirige le operazioni rivoluzionarie in Veneto e prepara la fondazione della Falange Sacra. Qui, nel luglio 1866, come reazione alla liberazione del Veneto ottenuta grazie alla Prussia bismarckiana, Mazzini getta le basi per la nascita dell’Alleanza Repubblicana Universale. Stavolta ad assistere alla gestazione della nuova struttura rivoluzionaria, l’ultima, c’è dunque Sara. Ha conosciuto Mazzini a Londra, nel 1837, lei 18enne, sposata da un anno a Moses Nathan. Da subito dirà che l’esule genovese è “l'ideale” della sua anima: stesso concetto di vita come missione, stesso senso religioso dell’esistenza li accomuna. Lui ha 32 anni. Dopo il fallimento della spedizione in Savoia, preda di quella che chiamerà la “tempesta del dubbio” e del dolore per la rottura con l’amata Giuditta Bellerio, da gennaio vive in miseria in uno squallido appartamento in Goodge Street, insieme a Giovanni ed Agostino Ruffini ed Angelo Usiglio. Tutta la magia “fantasmagorica” di quell’arrivo in battello sul Tamigi, sul far del tramonto, sbarcando sotto la torre di Westminster, in un “chiarore fosforescente” come quello “che doveva regnare nell’inferno di Dante” e dove “i passanti assomigliano e spettri e ci si sente spettri”, si è dissolto nei debiti da pagare (ha solo magre collaborazioni a riviste che lo pagano una sterlina a pagina, di cui almeno un terzo va al traduttore) e nel silenzio astioso dei due fratelli suoi coinquilini, che presto lo lasceranno, peraltro attorniato dalla freddezza degli esuli del ‘21. Scrive alla madre ancora del fascino da poemi di Ossian che gli evoca la nebbia londinese ma si lamenta anche della esosità della vita della città, dell’alto costo dei sigari, della necessità di avere camicie, lenzuola, federe, asciugamani , posate, tendine, “tanto da poter invitare qualcuno a colazione”. E’ riuscito a comprarsi una marsina nera, tace di quanto soffra il freddo. Elisa Fletcher, anziana nobildonna scozzese, che lo presenta al poeta Thomas Campbell, gli fa avere un permesso per accedere alla biblioteca del British Museum dove si reca tre volte alla settimana, per leggere, studiare, ma anche per scaldarsi (e qui, anni dopo, incontrerà Marx che vi veniva a scrivere il suo Capitale e che poi, entrato in conflitto con Mazzini nel 1865, alla Prima internazionale, gli darà del “vecchio asino reazionario”). In una lettera all’amico Melegari Mazzini si sfoga: “Da un anno patisco dentro a un modo che mi credere immortale perché dovrei morirne”, “sono solo, interamente solo”. E a Nicola Fabrizi, esule a Corfù: “Ho lottato e lotto - letteralmente - colla miseria”, “ho vissuto finora di pegni e impresiti”, “quanti conosci fra i migliori m’hanno lasciato. Mi dicono matto, alcuni - e degli intimi - ambizioso”, “tutti sono individualisti che hanno recitato di buona fede o no la parte di poeti, patrioti, di entusiasti, finché hanno sperato di vincere. Quando hanno veduto che la nostra era una teorica di dovere, che bisognava far della vita una continua battaglia anche con la certezza di non vincere se non dopo morti, hanno voltato le spalle ”, “so che alcuni, appunto per coprire se stessi, vanno dicendo che anch’io sono sconfortato ed inerte e misantropo, sento il bisogno di dichiarati una vota per tutte, ch’io sono esattamente quello che ero e che non solo serbo, ma ho rinforzato tutte le mie  credenze”. Resta tappato in casa. Per sbarcare il lunario prova a darsi, senza successo, all’importazione di olio, vino e salsicce. E, anche per il suo stato miserevole, sta lontano dal vicino Regent’s park, dove passeggia la nobiltà. Ci penserà Jane Welsh, la bella ma trascurata moglie del collerico (e fedifrago) poeta e storico Thomas Carlyle a fargli scoprire le bellezze di Londra. E’ lei la prima delle donne che formeranno quello che Mazzini chiamerà il suo “clan” inglese. Tutto formato da giovani donne che si lasciano rapire dal fascino e dal tormento del grande esule: Clementine Taylor, le sorelle Winlwoerth, Jessy White, Matilda Biggs, la giornalista Margherita Fuller (che, corrispondente nel 1849 dal campo di battaglia della Repubblica Romana, scriverà: “Gli uomini come Mazzini sono sempre vincitori, vincitori anche nella sconfitta. Mazzini lo conosco, conosco l’uomo e le sue azioni, grandi, pure, costanti, un uomo a cui soltanto l’epoca futura potrà rendere giustizia”), Arethusa Minler, Giorgina Craufurd, ma soprattutto le figlie dell’avvocato William Henry Ashurst. Dopo gli entusiastici articoli che Mazzini dedica a George Sand (con cui condivide per poco il ruolo di corrispondente per Le Monde, presto licenziato per le sue critiche al governo inglese), Carlyle vuole conoscere il romantico rivoluzionario italiano e ne diventa amico. Ogni venerdì Mazzini lo va a trovare nella sua casa di Chelsea, dove conosce Dickens e i maggiori intellettuali della città (Stuart Mill lo invita a scrivere sulla sua rivista). E, visita dopo visita, cresce l’intesa tra Pippo e Jane, moglie del suo ospite. La Londra primaverile del 1840 li vede spesso insieme. Lui è affettuoso, avendo ancora nel cuore Giuditta Bellerio; lei è adorante: non esita ad inviare alla madre di Pippo una spilla d’oro in cui è incastonata una treccia nera con i capelli intrecciati suoi e dell’amico, firmandosi “vi sarò sempre figlia”. Pippo si affretta a rassicurare la madre: “Io non l’amo, se non come sorella”. E con lei che condivide i suoi entusiasmi rivoluzionari. “Bello tanto da abbagliare” lo descrive Jane in uno di questi momenti, in cui Mazzini si sente esaltato dalla sua missione, in cui brindano insieme mangiando fichi secchi e pane allo zenzero ed Elisabetta Pepoli, moglie di Carlo e sorella di John Fergus, grande amico di Carlyle, li sorprende e fraintende la loro gioia, che Mazzini si sforza di reprimere. Ad aprile ha rifondato  la Giovine Italia ed il suo Apostolato, nell’attesa di entrare in azione in Italia, conquista filantropi e riformatori sociali  con un progetto tutto londinese: la Libera scuola per i lavoratori, che apre nel novembre 1841 ad Hatton Garden (e poi a Greville Street), per strappare alla “barbarie” schiere di emigrati italiani, di cui tanti bambini, cenciosi suonatori di organetto. Tra i finanziatori figurano Dante Gabriele Rossetti, Carlo Pepoli, Pietro Rolandi, Carlyle, Toynbee, Buller, Baring Milner, Gibson J. S Mill, William Shoen, Lord Ashley, Linton, miss Harriet Martineau e Lady Byron, “donna buona, aspra e positiva” . E dagli anni Cinquanta tra i finanziatori figurerà anche Sara Nathan. Alla scuola collabora Dickens. Pistrucci fa il direttore, suo figlio Scipione insegna disegno. Quasi ogni domenica, per due anni, Mazzini tiene la domenica mattina le sue lezioni di storia ed astronomia. Un anno dopo l’inaugurazione, il 10 novembre 1842, la scuola già in passivo, il “Capitano”, come Mazzini viene chiamato, è accolto trionfalmente nella sala in cui vengono premiati i migliori tra i 130 alunni della scuola. Tiene un discorso. “Se aveste sentito gli applausi che venivano da questi allievi, bruti un anno fa, ai passi che parlavano dell’Italia, avreste pianto” racconta poi alla madre, insieme ad un episodio  “che mi fece venir rosso come una ragazza”: un 12enne gli pone ai piedi un bouquet di fiori e declama un sonetto in suo onore. E ancora ricorda gli evviva che lo hanno sommerso nella cena seguita, a base di maccheroni con burro e parmigiano. Accanto a lui c’è Jane. Con lei i rapporti andranno diradandosi (nel 1846 la convincerà a non lasciare marito: “Ho subito delusioni anche più amare delle vostre”), man mano che Pippo diventa l’“angelo” della famiglia di William Henry Ashurst, cui Mazzini si avvicina sulla scia delle proteste che accompagnano la rivelazione dello scandalo delle sue lettere censurate dal governo inglese per compiacere Metternich (negli anni a seguire Mazzini riceverà quindi la posta con il nome fittizio di un tale mister Ernest, anche se la polizia saprà bene che si tratta di lui). Carlyle ha difeso l’amico sul Times: “Uomo di genio e di virtù, quale forse non ho mai incontrato nella mia vita”.  Subito dopo quella lettera  bussano alla porta di Mazzini, in Cropley Street, dove si è trasferito per stare più vicino alla sua scuola,  William Ashurst (che sarà uno dei banchieri inglesi di Garibaldi), per offrirgli la protezione del padre, noto avvocato liberale. Negli anni in cui Mazzini, sostenuto solo dai miseri compensi delle traduzioni ed oberato dai debiti necessari a mandare avanti la scuola, vive i maggiori sacrifici (finirà anche per impegnare il cappotto e l’anello della madre), trova volentieri rifugio nella casa di campagna di Muswell Hill di Ashurst, diventando l’eletto delle sue figlie: Matilde, sposata ad un industriale; Caroline, moglie di  James Stansfield (ministro che dovrà dimettersi per aver difeso Mazzini dall’accusa di essere stato il mandante dell’attentato di Felice Orsini, nel 1858, a Napoleone III); ed Elisa ed Emilie che si innamoreranno dell’esule, incantate dalla sua malinconica amabilità, dalla tenerezza del suo intonare canzoni popolari con l’amata chitarra (che sarà donata al Museo del Risorgimento di Genova nel 1933 da Josephine Shaen, figlia di quel William Shean che fu, oltre che fondatore dell'Associazione "Amici d'Italia", tra i primi biografi di Mazzini), dalla sua forza morale. “Cara, buona e santa famiglia che mi circondò di cure amorevoli, tanto da farmi talora dimenticare - se la memoria de’ miei morti senza avermi allato lo consentisse - l’esilio” scriverà Mazzini. Elisa, non corrisposta, finirà per sposare un operaio francese e morire giovane. Emilie, cui si deve lo ieratico ritratto del 1846 di Mazzini, sposata all’avvocato Sydney Hawkes, farà della sua casa un luogo di ritrovo per gli esiliati politici e, sua segretaria, seguirà Mazzini nei suoi viaggi in Italia. E proprio in treno, nel 1860, incontrerà Carlo Venturi, ufficiale garibaldino, che sposerà dopo pochi mesi, ottenuto il divorzio. Mazzini continuerà a scriverle fino alla fine dei suoi giorni, a testimonianza del legame spirituale che li univa. Grazie agli Ashurst Mazzini diventa amico di Milner Gibson e di sua moglie, figlia di sir William Cullum, Arethusa Milner, così mazziniana da presentarsi a teatro, a Genova, vestita tricolore e il cui salotto accoglieva esuli come Luigi Napoleone, Hugo, Kossuth Blanc, Balcescu. Dal 1847 socio del Wittington Club, uno dei pochi club che ammette le donne e di lì a pochi anni promotore della Società degli Amici d’Italia,  Mazzini ha modo di entrare in contatto anche con altre due famiglie che lo sosterranno fino alla fine dei suoi giorni, entrambe di italiani trapiantati a Londra: quella di Sara Nathan, appunto. E quella di Giorgina Craufurd. Nella casa delle due coppie Nathan-Rosselli (i due fratelli Rosselli, come banchieri, aiutano gli esuli a Londra), oltre che in casa di Sara, Mazzini è ospite spesso a partire dagli anni Cinquanta, insieme a  Federico Campanella, Maurizio Quadrio (che diventa precettore dei figli di Sara, la seguirà a Villa Tanzina ed insegnerà nella scuola fondata da Sara a Roma) ed Aurelio Saffi. Quest’ultimo, già triumviro della Repubblica Romana nel 1849 a fianco di Mazzini, proprio nella Londra del 1851 conosce  la 24enne Giorgina Craufurd Saffi, che nel 1857 diventerà sua moglie e compagna di ideali e di lotte, allevando 4 figli sulle strade dell’esilio: Londra, Napoli, Genova ed infine a Villa Saffi di San Varano, uno dei rifugi italiani di Mazzini, in quella Forlì nella quale Giorgina applicherà il verbo del Maestro sostenendo le donne operaie, “sorelle e  concittadine”, instancabile nell’opera di educazione di propaganda e lottando per l’emancipazione femminile. Giorgina e Mazzini si sono conosciuti nel 1848: lui, 43enne stringe la mano di lei, 21enne, dicendole: ”Spero che sarete una buona italiana”. Ma Giorgina già lo era. Si sentiva da anni “un'ardente congiurata italiana". Da quando, 13enne, nel 1840, nella natìa Firenze, ha visto accolta nella sua casa Giuditta Bellerio, ricercata dalla polizia, la bella vedova di un carbonaro, patriota dei moti di Ciro Menotti, con cui Mazzini, a Marsiglia, aveva mosso i primi passi della Giovine Italia, aveva concepito un figlio (morto in tenera età) e l’aveva poi perduta, divisi sulla strada dell’esilio e delle incomprensioni. Giorgina, colta ed emancipata, nasce da Sophia Churchill, della famiglia dello statista inglese, che, trasferitasi poi a Londra da Firenze, si iscrive con il marito, nobile sir inglese, alla mazziniana Società degli Amici d’Italia. Giorgina diventa così la cara amica “Nina” di Mazzini. Ardente sostenitrice, una volta in Italia, delle imprese mazziniane come anche di quelle di Garibaldi, in questo affiancandosi a figure di “madri” della Patria come Laura Solera, Elena Casati Sacchi ed Adelaide Cairoli, le donne cui Mazzini fu più legato in Italia. E’ lei che farà piantare l'albero accanto alla tomba della madre di Mazzini, Maria Drago, morta nel 1853, alla cui ombra il figlio, con sortite clandestine a Genova, viene a sedersi silenzioso. Si trova proprio di fronte all'ingresso al mausoleo di Mazzini, inaugurato nel secondo anniversario della morte, il 10 marzo del 1874, per iniziativa di una commissione di massoni sul modello del Tempio di Salomone, preceduto dalle due colonne di Jachin e Boaz, ancestrale simbolo della potenza divina che avrebbe ispirato anche la simbologia delle Torri Gemelle di New York. Mausoleo dove, nel 1946, si terrà l’“ostensione” della mummia di Mazzini, alla proclamazione della Repubblica da lui tanto agognata.

( Marina Greco )

 

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