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PRIMO LEVI, QUESTO È UN UOMO

 PRIMO LEVI, QUESTO È UN UOMO

Il Novecento sarà stato pure un “secolo breve”, come ricorda un monumentale saggio dello storico britannico Eric J. Hobsbawm, ma di sicuro anche il più violento (non a caso lo studioso usa come datazione della brevità alcune guerre). Con ogni probabilità, nel ventesimo secolo si è sparato di più, e se l’equivalenza tra proiettile e colpito non è solo retorica da film western, è dunque stato il secolo delle stragi. Primo Levi della brevità del Novecento, e delle sue relative barbarie, è stato testimone oltre che narratore. Il fatto più sconcertante è che a ferire l'umanità non furono principalmente le pallottole, ma l'idea di un pazzo che riuscì – cosa ancora più incredibile – a convincere una nazione che le altre andavano assoggettate e che era tutta colpa degli ebrei. Primo Levi era di origini ebraiche. Primo Levi fu catturato, e come tutti sanno, deportato in un lager nazista, il tristemente famoso campo di concentramento di Auschwitz. Se l'inferno esiste assomiglia ad un lager. Se dell'inferno hai esperienza non puoi che liberartene, raccontandola. Se questo è un uomo, è quel racconto. Che non ebbe immediata fortuna editoriale. Pochi lettori, uno dei più accorti, che fu partigiano a sua volta, lo segnalò sull'Unità, ed era Italo Calvino. La gente c'arrivò più tardi, molto più tardi, nel frattempo Levi si dedicò alla sua professione: il chimico. Chimica e scrittura sembrano mondi lontanissimi, invece hanno comune origine nella pratica alchemica. Dunque mentre faceva il chimico, in un certo senso, continuava a scrivere. “Ero stato catturato dalla Milizia fascista il 13 dicembre del 1943. Avevo ventiquattro anni, poco senno, nessuna esperienza, e una decisa propensione, favorita dal regime di segregazione a cui da quattro anni le leggi razziali mi avevano ridotto, a vivere in un mondo scarsamente reale, popolato da civili fantasmi cartesiani, da sincere amicizie maschili e da amicizie femminili esangui”. Inizia così il romanzo italiano sull'esperienza del lager. Inizia, ben chiaramente - e Sette, il magazine del Corriere della Sera – ospita un più ampio estratto dell'incipit - non come un semplice racconto dei fatti. Non è un resoconto, è un capolavoro. Non è un reportage, è un classico. Leggi e ti chiedi se quello è un uomo, se lo sei anche tu. Ogni tanto, leggi i giornali, e ti chiedi se questo è un uomo. Anni dopo, Levi scrisse La tregua, il romanzo del ritorno dal campo di concentramento, e ancora più tardi un altro romanzo, sempre sullo sfondo del secondo conflitto mondiale, che aveva al centro un gruppo di partigiani ebrei di origini polacche e russe, si chiamava, Se non ora, quando?. Ora - un piccolo inciso - pochi anni fa, in piena ribellione femminile al berlusconismo, una manifestazione in rosa, capitanata da attrici, giornaliste, e varia indignata umanità in gonna, dimostrò che la figura della donna usciva, da quanto emergeva dalle indagini e dalle intercettazioni, sinceramente squalificata. Tutti d'accordo. La manifestazione si chiamava come quel libro di Levi: Se non ora, quando? Sarebbe curioso però capire quale alchimia leghi la scrittura partigiana alla manifestazione sulla dignità del femminile. Ma è tutta un'altra storia.

(Valerio De Filippis)

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