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direttore Paolo Pagliaro

Adriano Celentano, e siamo tutti azzurri

Nel pieno della contesa sul concetto di rinnovamento in politica - tra passi indietro e statuti, camper e direttivi, candidature e ritiri - il paese si sta ossessivamente contrapponendo in fazioni, vecchi e giovani, benché un evento abbia messo d’accordo entrambi, un evento trans-generazionale come solo un concerto può essere, se è il concerto di Adriano Celentano. Un evento televisivo, culturale, sociale e dunque politico che segue idealmente al più esplicito programma Rock Politik, col conseguente tormentone manicheo del mondo diviso tra Rock e Lento, dove rock era sinonimo di In e lento di Out. Rock è stato anche il suo doppio concerto: nove milioni ti tv accese, uno share che molleggiava oltre il 30%. Musica sì, ma economia anche (Rock Economy - questo il nome del paio di serate mandate in onda da Canale 5 - ha ospitato anche importanti economisti). Politik su Rai Uno, Economy sulla tv commerciale: troppo facile tirarne conseguenze, persino troppo didascalico, ecco, sarebbe Lento farlo. Che sia Rai o Mediaset sempre azzurro è il colore che Adriano canta, un colore solo apparentemente forza-italiota; azzurro è il colore di tutti, da nord a sud, da est a ovest, azzurri sono gli undici che scendono in campo in calzoncini, che ci fanno gioire per una rete, gli azzurri siamo noi. Azzurra è la voce di Celentano, anche quando sbaglia le parole, anche quando imbocca il nonsense: “Ai ai smai sesler eni els so co uil piso ai in de col men seivuan prisencolinensinainciusol ol rait”, che fu deliziosa parodia del mito americano, che insomma sempre americano_a _Roma resta, l’italiano. Perché tanto successo? Come tutti i fenomeni di longevità mediatica, quelli dei Celentano hanno il proprio specifico principio attivo nell’identificazione (rispecchiamento si sarebbe detto con Lukacs, in una declinazione privata di rispecchiamento emotivo, più che storico, o sociale) . Ogni canzone è per l’ascoltatore-cliente un pezzo di vita, gli ricorda un momento particolare. Egli paga per un’emozione privata, accettando che sia fruibile collettivamente (concerto) e che sia seriale (tutti possono godere della stessa canzone), purché sia “azzurra”. E così per generazioni, di padre in figlio. Questo il residuo senso d’appartenenza che sopravvive, il legante della comunità italica. E guai a parlare di pensionamento o rottamazione. La nomeklatura artistica non può essere rottamata, non può andare in pensione, per il semplice fatto che si può uscire dalla vita politica o dai vertici di un’azienda, ma non si può smettere d’essere Celentano,Baglioni, De Gregori, Vasco Rossi. Solo la morte - e nemmeno completamente - spezza questo incantesimo d’identificazione. Ogni musicante è immortale. Tutti i musicanti sono uomini. Dunque tutti gli uomini sono immortali. E allora e allora io quasi quasi prendo il treno e vengo vengo da te…

(© 9Colonne - citare la fonte)