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Gianni Brera, tra le righe in contropiede

Gianni Brera, tra le righe in contropiede

La periodizzazione che ricorre maggiormente nelle italiche cose è il ventennio; abbiamo avuto quello fascista, appena passato i due decenni dalle stragi di mafia e da tangentopoli, manca un anno circa a che Berlusconi possa soffiare sulle venti candeline dalla sua discesa in campo, e da ultimo - ma non ultimo - festeggiamo con nostalgia i quattro lustri dalla morte di Gianni Brera. Pressoché adorato in specie dalla categoria giornalistica, che ne ha adottati con felicità i neologismi (libero, melina, goleador, disimpegnare, uccellare), parole nuove capaci di dire per la prima volta cose vecchie, ma mai verbalizzate prima. In qualche modo Brera alfabetizzò uno sport fin lì vissuto più in onomatopea urlata, uno sport più di gesto che di verbo. Brera fu quindi un battezzatore e un inventore: questa sua lingua generativa gli è valsa la patente di colui che può saltare a piacimento di qua e di là dal valico che divide con intransigenza quasi di casta, il giornalista dallo scrittore, l’articolo dal racconto, attualità da eventualità. Egli allargò il vocabolario, e non c’è cosa di cui può essere più riconoscente chi vive nel suo linguaggio: l’italiano. Oggi però, dopo la parentesi breriana, si è tornati indietro, un po’ perché la capacità di conio della lingua sembra essersi trasferita altrove, e a minor gloria (nelle commissioni parlamentari in cui la montagna partorisce il porcellum, e varie ad personam: mostri giuridici e letterali cacofonie). Oggi di nuovo o sei l’uno (giornalista) o l’altro (scrittore), oppure rischi di non essere né carne né pesce – con alcune mirabili eccezioni, provenienti da un altro scriba dello sport, un altro Gianni: Gianni Clerici (emerito cronista di discipline di racchetta, specializzato in volée alta espressiva, capace d’andatura narrativa, anche se riferisce di un game, se racconta il tennis). Gramellini (toh, un altro che riesce nel doppio lavoro), scrive: “Se faccio il giornalista e non so un tubo di matematica, è tutta colpa di Gianni Brera, tornato dagli avi gallo-cimbri la sera del 19 dicembre 1992, vent’anni fa, eppure immortale nel mio vecchio quaderno, dove ancora mi insegna a difendere le sconfitte e a prendere il destino nell’unico modo possibile: in contropiede”. Tra le innumerevoli biografie dedicate al direttore de La Gazzetta dello Sport, questa di www.storiaxxisecolo.it, ha il dono della sintesi: “Antifascista, collaborò attivamente alla Resistenza. E' stato il più famoso giornalista sportivo italiano. Scrisse molti libri, sullo sport e sulla sua terra. Amava la caccia, il buon vino e la gastronomia doc. E’ morto in un incidente stradale il 19 dicembre 1992 a Codogno, nella sua Padania”. Sono vent’anni che l’Italia cerca la rimonta, quel contropiede di cui sopra. Chissà cosa ne avrebbe scritto Brera, se ci avesse aiutato a decifrare il ventennio che non ha potuto vedere.

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