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Aldo Moro, la versione cantata

Aldo Moro, la versione cantata

Per quelli nati dopo il suo rapimento, dopo il 1978, Aldo Moro rimarrà un’icona più filmica che politica, consegnata alla storia nella foto tristemente famosa che lo ritrasse, pieno di un’angoscia rassegnata, con una copia de “La Repubblica” a far da velo, col titolo “Aldo Moro assassinato?”, e lui mesto, dal grigiore di quell’epoca di sangue, sembrava sbucare con un sorriso strano, davanti alla disperazione degenerata della macchina fotografica. Il resto, chi non l’ha vissuto in diretta, lo avrà saputo comunque, per via televisiva, la stessa Tv che documentò tutto: dall’annuncio di Bruno Vespa al Tg1, al ritrovamento in via Caetani, a Roma, a due passi da Botteghe Oscure, del corpo senza vita dello statista democristiano, chiuso nel bagagliaio di un’utilitaria francese rossa, come le brigate che l’hanno ucciso. Perché parlarne ancora?  - ci si chiede a questo punto - sta forse per uscire una fiction, una docu-fiction, è un anniversario? No. Una canzone. “Anni di piombo” è una canzone esemplare, per misura, rispetto, colore, levità, del gruppo italiano Virginiana Miller, contenuta nel disco appena uscito (“Venga il Regno”), di cui circola la versione video nella colonna multimedia del giornale online fondato da Eugenio Scalfari. Ad occhio tutti i componenti della band livornese, nel ’78, c’erano. Di sicuro c’era Simone Lenzi, voce dei VM e autore del testo. Ci vuole coraggio nel trattare in musica un tema del genere, una frattura della storia ancora non pienamente illuminata, che tiene dentro destra, sinistra e centro, anzi destra estrema, sinistra estrema, centro estremo (in Italia tutto è sempre estremo anche quando sembra una minestra riscaldata). Il fatto ammirevole che la piega della canzone è solare: “L'autostrada è del sole stanotte/ma piove sul valico a Bologna/eppur bisogna andare”. Immaginare lui, Moro, che chiama la moglie e dice: “stai tranquilla, vado piano/quando arrivo poi ti chiamo/da un telefono a gettoni/e ti dico che non mi hanno/colpito le scosse/non mi hanno rapito le Brigate Rosse/Non avere paura, non temere/ non c'è piombo in fondo al nostro cuore/Io, me la cavo bene”. Non è andata così, ma questa telefonata che arriva con oltre 30 anni di ritardo, ha un potere consolatorio, che trasla dalla storia collettiva (la morte di Moro, il terrorismo), a quella individuale, sentimentale: “E una mia immensa tenerezza passa per le tue mani/ciao, ci sentiamo domani/Stai serena che se ho sonno/io mi fermo e forse dormo/per un paio d'ore o per vent'anni amore”. Sappiamo che qualcuno ha definito la contemporaneità, l’epoca delle passioni tristi (Spinosa), qualcuno insiste sulla mancanza di dimensione collettiva, ognuno incantato dal proprio ombelico. Non c’è spazio per capire il perché in pochi decenni siamo diventati un esercito triste e solitario. Piace pensare che l’ultima strofa sia (anche) un inno d’amore verso la nazione: “non avere paura e non temere/non c'è legge speciale/né ragione di stato/più nulla da rivendicare/più nessun potere/nessun mare/non c'è piombo in fondo al nostro cuore/stai tranquilla, vado piano/quando arrivo poi ti chiamo”. Poi ti chiamo.

 

Valerio de Filippis

 

 

 

 

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