Agenzia Giornalistica
direttore Paolo Pagliaro

RENZI, COSA E’ CAMBIATO
IN UN ANNO DI GOVERNO

RENZI, COSA E’ CAMBIATO <br> IN UN ANNO DI GOVERNO

di Paolo Pombeni

Il governo Renzi ha compiuto un anno di vita e fioccano, come è inevitabile, i bilanci. Ci sembra si dividano lungo due linee: quelli che osservano che si è promesso molto, ma realizzato poco e quelli che invece sottolineano come comunque sia totalmente cambiato il panorama politico.

I secondi hanno un compito più facile nel sostenere le proprie ragioni, perché solo un cieco, per natura o per preclusione ideologica, potrebbe negare che il panorama che abbiamo di fronte sia completamente diverso. Non è ovviamente solo questione di “rottamazioni”, che pure ci sono state, ma più in profondità della trasformazione dei soggetti della nostra politica. 

Possiamo cominciare dal PD. Oggi non è più quel partito a conduzione ex-PCI con qualche cooptazione da altre forze confluite come, nonostante la buona volontà di Veltroni, era stato sino all’era Bersani. Il ricambio generazionale ha significato la perdita di quella tradizione (anche con ciò che di positivo conteneva), pur se è difficile oggi dire se essa sia stata sostituita da una nuova “fisionomia politica”. Il PD attuale è un sistema di correnti con una personalizzazione spinta della leadership: in questo somiglia alla vecchia DC, che però non è mai riuscita ad avere un solo leader (neppure ai tempi di De Gasperi, perché Dossetti gli disputò il posto con una sua credibilità). La differenza col vecchio partito egemone è che quello, almeno nella sua età d’oro, aveva correnti con radici nei territori e, in genere, con qualche capacità di elaborazione di visioni politiche (senza esagerare su questo punto). Le correnti pidiessine di oggi sono quasi solo aggregazioni (romane) di gruppi che competono per il potere interno e che ammantano queste lotte di vaghi slogan ideologici che però non convincono quasi nessuno. Sul PD nei “territori” stendiamo un velo pietoso.

L’altro corno del “bipartitismo imperfetto” della seconda repubblica, cioè il berlusconismo, sta forse anche peggio. Il viale del tramonto su cui è incamminato il suo leader/inventore non sembra contemplare inversioni di marcia. Sul capo dell’ex Cavaliere pende la vendetta della sua grande sbandata ai tempi delle “cene eleganti”. Da quel passato ha cercato di emendarsi, ma i ricatti che gli sono connessi sembrano tenerlo avviluppato e se una parte almeno dell’opinione pubblica gli perdonava facilmente guai giudiziari legati a vicende economiche, più difficilmente può perdonargli fiumi di denaro spesi a foraggiare ragazze allegre. Difficilmente poi lo farà ora che Berlusconi non può neppure più far passare quelle vicende come gli intervalli oziosi di uno statista che promuoveva il benessere italiano e rendeva il nostro paese protagonista a livello internazionale. Quella è una narrazione che non esercita più alcuna presa.

In conseguenza il centro destra si è spappolato, ma coloro che hanno tentato, almeno per quel che riguarda alcuni vertici, di salvarne gli aspetti significativi (cioè alcuni vertici di NCD) non sembrano in grado di raccogliere consensi sufficienti per diventare massa critica, mentre FI è ridotta ad una rissosa corte di Bisanzio senza alcuna linea politica.

In questo clima il populismo è esploso. Se quello visionario di Grillo sembra bloccato come forza espansiva (anche se tutto sommato tiene stretto il suo patrimonio di consensi), quello della nuova estrema destra di Salvini ha il vento nelle vele. Certo anche la Lega ha i suoi problemi interni, e non piccoli, ma l’iperattivismo mediatico del suo segretario e le circostanze favorevoli che gli mette a disposizione la crescita di ansia che percorre il paese lo rendono, almeno per il momento, in crescita costante.

Dunque è in questo panorama politico così cambiato che vanno valutati i dodici mesi di Renzi al governo. Ha mietuto molto o poco? Lasciamo perdere di misurare i risultati raggiunti sulle promesse e gli annunci: purtroppo la politica attuale ha reso obbligatorio ricorrere alle promesse iperboliche. Cerchiamo di capire se quanto si è portato a casa sia in grado o meno di “cambiare verso” alla direzione che aveva preso il paese nel momento di crisi mortale dell’avventura berlusconiana.

Qui davvero dodici mesi sono pochi. Qualche segnale di ripresa economica c’è, ma bisogna vedere se si consolida ad un livello tale da rendere facilmente percepibile una svolta (soprattutto sul terreno della sconfitta della disoccupazione di massa, specie giovanile). Poi c’è la difficile situazione internazionale che chiede al nostro paese una capacità di incidere che al momento non si vede (e in questo l’attuale appannamento della Mogherini in ambito UE non aiuta). Infine ci sono le turbolenze del quadro parlamentare che renderanno non facile il portare a termine le riforme istituzionali che Renzi ha eletto a simbolo della sua capacità riformatrice.

Sarebbe sciocco non riconoscere che il presidente del consiglio ha sino ad oggi ottenuto il risultato, tutt’altro che secondario, di non farsi ridimensionare accanto a quello di avere raggiunto alcuni obiettivi importanti. Inoltre gode ancora, se non di un favore popolare plebiscitario (quello si è ridimensionato) della convinzione della grande maggioranza delle classi dirigenti che a lui non ci sono alternative (magari alcuni ci aggiungono un “purtroppo”, ma così rimane).

Insomma dodici mesi in cui è riuscito a non farsi disarcionare, non sono un risultato banale, ma adesso nei prossimi mesi, se vogliamo mantenere la metafora, dovrà dimostrare che ha domato il cavallo e che gli ha fatto fare un bel pezzo di strada nella direzione che voleva lui.


(da www.mentepolitica.it)



(© 9Colonne - citare la fonte)