Agenzia Giornalistica
direttore Paolo Pagliaro

Carolina e Carlotta Poerio, guerra e pace nell’Italia risorgimentale

Ritratti
Una galleria giornalistica di ritratti femminili legati all'Unità d'Italia. Donne protagoniste nell'economia, nelle scienze, nella cultura, nello spettacolo, nelle istituzioni e nell'attualità. Ogni settimana due figure femminili rappresentative della storia politica e culturale italiana passata e presente.

Carolina e Carlotta Poerio, guerra e pace nell’Italia risorgimentale

Firenze, Ottocento, fine anni Venti. La padrona di casa accoglie con bonario sorriso gli ospiti eleganti, riceve il rigido baciamano degli uomini in marsina, l’inchino frusciante delle donne ma non lascia che si attardino nell’ossequio, li trae con confidenza nel cuore del suo salotto, nel brusio delle voci che riverbera tra il luccichio delle candele e dei calici. Come sempre il capannello più compatto è quello che si forma intorno al barone. Giuseppe Poerio parla ed intorno a lui giovani di fede liberale ascoltano con ammirazione. Non è solo l’abilità del principe del foro a far tendere gli animi. Ascoltano la voce decisa, dall’accento meridionale, dell’ardente giacobino che poco più che ventenne, nel 1799, aveva guidato la rivoluzione napoletana, era stata una delle più ascoltate tra i consiglieri di Gioacchino Murat, aveva sostenuto, da alto magistrato, le riforme napoleoniche nei piccoli municipi meridionali come nelle aule di Cassazione e, ancora, aveva infiammato i moti carbonari del 1820 e pronunciato l’ultimo discorso nel Parlamento costituzionale napoletano, mentre già gli altri deputati fuggivano davanti all’avanzata degli austriaci. “Può essere incerta la sorte delle armi, ma non può essere incerta mai quella dell’onore” l’invettiva anti-austriaca del barone esiliato che ancora ora echeggia nel salotto diventato fulcro dell’intellighentia fiorentina, grazie all’amabile quanto sobria ospitalità della moglie, la baronessa Carolina Poerio (raffigurata nell’immagine) che un decennio prima - al primo esilio dei Poerio a Firenze, restaurati i Borboni a Napoli - aveva conquistato anche la contessa d’Albany, musa di Alfieri. Capponi, Guerrazzi, Ridolfi, Rinuccini, Ginori, Salvagnoli, i nomi dei grandi liberali toscani - ma anche dell’esponente della carboneria meridionale Giovanni La Cecilia - che risuonano familiarmente nel salotto dei Poerio. E che, probabilmente, fa da scenario anche alle erudite conversazioni di uno dei due figli maschi della baronessa - il primogenito Alessandro (nato nel 1802), poeta, amico e traduttore di Goethe -, con i letterati del gabinetto Vieusseux ma soprattutto con Alessandro Manzoni (deciso a “risciacquare in Arno” i suoi Promessi Sposi) e con Giacomo Leopardi, amico di un altro esule napoletano a Firenze, quell’Antonio Ranieri, allora ventenne e bellissimo ed in seguito deputato, con cui il poeta strinse un sodalizio che durò fino alla sua morte. E sempre in questo salotto si incrociarono per la prima volta gli sguardi innamorati dell’allora giovane scrittore Paolo Emilio Imbriani con l’avvenente figlia dei baroni, Carlotta Poerio, nata nel 1807. Il futuro deputato e ministro non tardò a farsi conquistare dalla sensibile suonatrice di arpa e pittrice con cui, inoltre, condivideva l’asprezza dell’esilio paterno (il padre, Matteo, era stato infatti uno dei pochi deputati del parlamento napoletano fedeli a Poerio ed anche lui messo al confine). Immaginiamo la madre Carolina osservare le intese che si scambiano i due ragazzi certo pensando a quelle che, nel 1796, lei 21enne, videro accendersi l’amore con l’allora coetaneo Giuseppe Poerio, in casa dello zio a Napoli, dove era andata ad abitare insieme alla madre ed alle due sorelle dopo la precoce morte del padre, magistrato di Poggiardo, nel Leccese. La forza d’animo della giovinetta pugliese aprì subito un varco nel cuore dell’ardente e gaudente avvocato Poerio, giunto a Napoli dalla Calabria sulla scia dei giovanili successi forensi e presto destinato a diventare un simbolo del patriottismo risorgimentale napoletano. Un colpo di fulmine che si nutrì nelle letture di Goethe e Rousseau, con fitti scambi epistolari appassionati e quindi si consolidò nella prima dura prova di fedeltà cui venne subito chiamata Carolina. Nel 1799, mentre Giuseppe, insieme al fratello Raffaele, prendeva attivamente parte alle vicende della Repubblica napoletana partecipando non solo alla vita politica (fu uno degli artefici delle nuove leggi repubblicane e della riorganizzazione dei tribunali) ma anche alle battaglie contro le truppe sanfediste - la stessa Carolina fermava i soldati del cardinale Ruffo, pronti a saccheggiare la sua casa, non a colpi di cannonate ma sciogliendo davanti loro i lunghi capelli, dando così prova della sua fedeltà all’“ancien régime”, mentre le sorelle si erano tagliate i capelli corti secondo la moda giacobina “alla Tito”, lanciata dal celebre attore tragico parigino Talma. Ma l’espediente che aveva frenato la soldataglia non riuscì a mettere al riparo la sua famiglia, una volta risaputo il suo fidanzamento con l’ardente patriota che intanto era stato arrestato. Venne così tutta rinchiusa nel monastero del Consiglio. Qui Carolina prima provò la disperazione di non poter mai più rivedere il suo Giuseppe, condannato all’impiccagione, quindi anelò di poterlo tornare ad abbracciare quando la condanna capitale venne commutata all’ergastolo, a Favignana. Nell’isola, nella “fossa” penale di Santa Caterina, una tetra grotta fredda ed umidissima, Giuseppe attese quasi due anni la liberazione, che giunse con l’indulto concesso dopo la vittoria di Napoleone a Marengo. E, finalmente, alla fine del 1801, i due fidanzati convolarono a nozze. Ora, nel suo esilio fiorentino, la baronessa Carolina, dietro la maschera della fierezza patriottica, certo deve tirare un sospiro di sollievo vedendo il figlio Alessandro - che malgrado miope e malaticcio aveva partecipato in armi all’insurrezione napoletana del 1821 al comando del generale Pepe, amico dei Poerio e, ancora, al fianco dello zio Raffaele in difesa di Salerno - interamente dedito agli studi letterari - e la figlia Carlotta innamorata di un giovane di spirito moderato. Ma, per Carolina, si preparano altri e più dolorosi patemi. Come anche per Carlotta, che nel 1838 sposò Paolo Emilio Imbriani. Di entrambe, infatti, le virtù di fedeltà e costanza dovettero fare da argine ai drammatici destini dei loro cari. Nel suo libro “Una famiglia di patrioti” Benedetto Croce scrive sui Poerio che quegli uomini “dall’alto intelletto e dal generoso cuore” gli “sono apparsi di continuo circondati, animati e sorretti dalle più tenere e amorose creature femminili che possa mai concepire la varia fantasia idealizzatrice di un romanziere”. Così, quando ottenne il permesso di poter rientrare, nel 1829, solo lei con i figli a Napoli, Carolina dovette accettare che il suo Alessandro seguisse il padre a Parigi (dove entrarono nella cerchia di Chautebriand e George Sand) e quindi a Londra (dove conobbero Mazzini, Lord Russel, il duca di Hamilton). Con lei, a sostenerla, il figlio Carlo, di un anno più giovane di Alessandro, che a Napoli prese le redini dello studio legale del padre. Poi un breve periodo di serenità dopo il ritorno a Napoli, grazie ad una amnistia, di Giuseppe ed Alessandro (il primo nel 1833, il secondo nel 1835). Subito interrotto nel 1837 dal primo arresto del figlio Carlo, divenuto uno dei maggiori esponenti del partito liberal-moderato, quindi dalla morte del marito nel 1843 e da un nuovo arresto per Carlo, l’anno seguente. Alessandro descrive in delle lettere all’amico Capponi il dramma materno. Quando perse “il suo compagno di tanti palpiti e di tante sventure, ma anche di tante nobili gioie” fu sul punto di morire “per aver voluto - scriveva - con troppo virile animo reprimere in fondo al cuore l’angoscia, come stimava convenisse alla vedova di tanto uomo”. Ed anche la “gran forza d’animo” che la madre mantenne dopo l’arresto di Carlo - tanto da arrivare a perorare una raccolta di firme non per chiederne la libertà ma per la concessione dello Statuto - dimostrò ad Alessandro quanto lei nascondesse così una grande lacerazione interna. E in seguito, per Carolina, il naufragio delle speranze nell’offensiva di Carlo Alberto contro gli austriaci, doveva accompagnarsi al dolore più grande. Nel 1848 scriveva alla cognata, moglie di Raffaele Poerio, che si era messo al comando di una brigata lombarda: “Io sono contenta, anzi orgogliosa che tutto ciò che ha nome Poerio si adoperi per la buona causa. Vostro marito, Alessandro ed Enrico (il nipote, ndr) in Lombardia, Carlo in Napoli; e Carlotta pure, per mezzo di suo marito rappresenta la sua parte”. Ed infatti anche Carlotta faceva la sua parte, fino in fondo, elevando la virtù familiare a civile. “Io ho il coraggio di resistere a tutte le sventure che ci circondano - scriveva nel 1848 al fratello Alessandro - pel pensiero che mi debbo ai miei figli e che mi corre l’obbligo di educarli virilmente, di renderli insomma uomini, merce di cui v’è difetto ne’ tempi presenti, tempi di corruttela e di viltà”. Ma, purtroppo, di lì a poco, proprio Alessandro doveva procurare la ferita più grave nella vita delle due donne: arruolatosi come semplice milite della Guardia Nazionale, malgrado il suo prestigio, agli ordini del generale Pepe, dopo che una cannonata gli aveva strappata una gamba nella battaglia di Venezia, moriva il 3 novembre 1848 ucciso dalla cancrena. Le sue ultime parole scritte alla madre: “Come avrei dato volentieri la mia vita per la patria, così non mi dorrò di restare con una gamba di meno”. Intanto Carlo, reduce nel 1847 da un nuovo arresto e nel 1848 da incarichi di governo, nel 1849 veniva imprigionato per cospirazione anti-borbonica e, nel 1852, rinchiuso nel terribile carcere di Montefusco, ferrato insieme al conte Pironti. I due, trasferiti nel penitenziario di Montesarchio, come unico atto di clemenza ebbero ognuno una catena legata alla palla di ferro, in sostituzione del ceppo. Ad un intendente che gli chiedeva come stava, Carlo rispose sarcastico: “Fo questa cura di ferro da parecchi anni, e mi sento più forte”. A Carolina venne solo detto che il figlio era detenuto ad Ischia. E con una amica si sfogò: dei mie figli “ne trovo nessuno vicino a me mentre che muoio: non ho neppure Carlotta, che è in esilio col marito e con quei cari bambini. Sono proprio stanca!”. Carolina morì a Napoli proprio nel 1852. Niccolò Tommaseo, nel 1858, scrisse nella sua poesia “A Carlo Poerio”: “E non visse ai singhiozzi; e non sentìo lontan lontano della madre il pianto, e il suono, o Carlo, della tua catena”. Alla morte di Carolina tutti i beni dei Poerio vennero sequestrati e, caduta in miseria tutta la famiglia, la figlia Carlotta non esitò a dare prova di sacrificio dedicandosi ai lavori più umili per assistere i cinque figli che era riuscita a far sopravvivere tra le continue gravidanze. L’unica figlia femmina, Caterina, morì precocemente quando la famiglia Imbriani, nel 1860, dopo 11 anni di esilio, tornò finalmente a Napoli. E Carlotta, logorata dagli stenti e dall’apprensione per la sorte dei tre irruenti figli, fu colpita da apoplessia e morì nel 1867, pochi mesi prima del fratello Carlo. Se il figlio Geppino era malaticcio Vittorio, Matteo e Giorgio - tra le figure più vigorose della storia repubblicana napoletana, cresciuti peraltro nell’intransigenza degli ideali paterni - nel 1866 si arruolarono nell’esercito di Garibaldi, nella spedizione del generale Enrico Cosenz. E seguirono in prima linea i successivi eventi bellici. Così, morendo, Carlotta non subì lo strazio dell’uccisione del figlio Giorgio, nel 1871, a Digione, all’età di 22 anni. Matteo, luogotenente dell’Eroe dei due mondi e già tenente dei granatieri, il prediletto di Carlotta, per il dolore getterà nella bara del fratello la propria medaglia al valore e si dimetterà dall’esercito, convertendosi quindi al pensiero repubblicano. Nel 1889 verrà eletto deputato e presenterà alla Camera la prima proposta di legge per l'Acquedotto Pugliese. A ricordare la storia della famiglia Poerio è, dal 2001, l’Associazione culturale Alessandro Poerio, con sede a Teverola, nel Casertano, fondata da Anna Poerio Riverso. Spiega la saggista e pittrice, che conserva nei tratti la fine dolcezza di Carlotta: “L’associazione opera affinché sia valorizzato lo studio della famiglia Poerio, organizzando eventi culturali e convegni e, in occasione del 150.mo anniversario dell’Unità d’Italia, ha istituito il Premio Poerio, con la finalità di premiare personalità del mondo della cultura e dell’arte che siano esempio di italianità e che avrà luogo nella primavera del 2011 all’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di Napoli”.

(© 9Colonne - citare la fonte)