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direttore Paolo Pagliaro

Le femministe/2 - Le donne del socialismo storico

Ritratti
Una galleria giornalistica di ritratti femminili legati all'Unità d'Italia. Donne protagoniste nell'economia, nelle scienze, nella cultura, nello spettacolo, nelle istituzioni e nell'attualità. Ogni settimana due figure femminili rappresentative della storia politica e culturale italiana passata e presente.

Le femministe/2 - Le donne del socialismo storico

Le donne non sono libere per colpa di quelle poche “timorate di Dio” che “non vivono che di frivolezze, di visite di toelette” e che, tese solo a “compiacere all’uomo”, lasciano “degenerare” i loro sentimenti migliori “in grettezza, avarizia ed egoismo domestico”. Nessuno aveva mai avuto il coraggio, fino ad allora, di sferrare un simile attacco alle donne della borghesia di Milano e di offrire una analisi sociale così impietosa al movimento emancipazionista italiano. Tanto che lo stesso Filippo Turati, suo compagno di vita e di lotta, con cui due anni dopo fonda il Partito socialista italiano, confessa che “avrebbero dovuto buttarla dalla finestra per quello che diceva”. Ma è quello che osa fare, il 27 aprile 1890, prima donna a tenere una conferenza al Circolo Filologico di Milano, quella che da un paio di anni - una delle prime donne medico laureate in Italia - è diventata la “dutura” delle povere donne della periferia di Milano, la prima ginecologa disposta a visitarle senza voler nulla in cambio, a curarle - 88 anni prima della legge 194 - dalle ferite inferte dai ferri da calza e dai cucchiai da cucina delle mammane, a salvarle dalle febbri puerperali mortali grazie ad una cura di sua invenzione. Anche se, nella sala in cui si ascolta la sua conferenza dal titolo “Il monopolio dell’uomo”, ad ammutolire, non ci sono operaie ma ragazze di buona famiglia per le quali lei, Anna Kulisciov, è già un mito. E’ stata la prima donna, nel 1871, ad entrare al Politecnico di Zurigo, dove ha conosciuto Bakunin. Dopo di lei l’ateneo è diventato il vivaio delle femministe europee con i capelli corti, lo sguardo cupo e altezzoso, la sigaretta, i grandi occhiali e i vestiti “tanto corti da sembrare fodere di ombrello” (dall’identikit che ne traccia l’ex studentessa Franziska Tiburtius, una delle prime donne medico tedesche) . Vi arriverà anche la 18enne polacca Rosa Luxemburg, nel 1889, nascosta in un carro di fieno. Gli ardenti occhi azzurri, la ciocca biondo ramata che sfugge dal rigido chignon, la voce dal risoluto accento russo, le mani che faticano a stringere il pugno per i primi segni dell’artrite remautoide contratta in carcere, sono quelli della 35enne rivoluzionaria: tre arresti alle spalle, una storia d’amore finita con l’anarchico Andrea Costa, diventato il primo deputato socialista della storia italiana e fondatore dell’“Avanti!”. Ad Anna, che ha lasciato un marito in Russia, Costa ha dato una figlia (e Andreina, ironia della sorte, diventerà religiosissima ed al funerale della madre nel 1925, funestato dall’assalto dei fascisti al feretro, presenti Ferruccio Parri e Pietro Nenni, non esiterà a sgranare il rosario, orgogliosa madre di una carmelitana scalza e di un abate benedettino che, nell’anello episcopale, incastonerà peraltro una ametista della nonna rivoluzionaria). In platea non è escluso che sieda anche la 53enne Anna Maria Mozzoni, che insieme a Kulisciov e Turati ha fondato l’anno prima la Lega socialista milanese, fedele ad un marxismo non dogmatico e dieci anni prima ha creato la Lega Promotrice degli interessi femminili insieme a Paolina Schiff, prima donna docente di letteratura tedesca all’università di Pavia, patrocinatrice a Milano del sindacato delle orlatrici, il primo femminile di categoria insieme a quelle delle tessitrici, nato a Varese nel 1889. Anna Maria a 27anni, autodidatta, ha scritto il suo primo saggio, “La donna ed i suoi rapporti sociali” che può essere considerato il manifesto del femminismo italiano, precedendo di un anno il saggio “Della presente condizione delle donne e del loro avvenire” pubblicato dalla principessa rivoluzionaria Cristina di Belgioioso ma anche di cinque anni il saggio “Sull’asservimento delle donne” del filosofo inglese John Stuart Mill, considerato la pietra miliare del femminismo mondiale (ma di quello americano, “L’uomo contro gli uomini - La donna contro le donne” , era stato ancora più antecedente: venne pubblicato nel 1840 da Margaret Fuller, la cronista mazziniana della repubblica romana del 1849, morta con marito e figlioletto nel naufragio del veliero che l’anno dopo li portava a New York, in fuga dalla repressione). Le grandi battaglie di Anna Maria sono quelle contro la prostituzione regolamentata (vinta nel 1958 dalla senatrice socialista Lina Merlin) e che nel 1877 la vedono rappresentare l’Italia, insieme all’amica Jessie White Mario, al primo congresso della federazione abolizionista riunito a Ginevra e promuovere leggi portate avanti - inutilmente - dall’amico deputato Salvatore Morelli. L’anno dopo rappresentò l’Italia a Parigi nel “Congresso internazionale per i diritti delle donne”. E da sempre si batte anche per il suffragio femminile convinta che sia la chiave di volta per la conquista della libertà. Nel 1877, sempre con il fedele Morelli, aveva presentato una prima petizione politica per il voto alle donne. E in quello che passò alla storia come il Comizio dei Comizi, nel 1881 a Roma, Anna Maria (che nel 1879 era entrata a far parte della Lega della Democrazia, con Jesse White Mario e Adelaide Beccari, direttrice de “La donna”), aveva tuonato fuori dai denti: “Se temeste che il suffragio delle donne spingesse a corsa vertiginosa il carro del progresso sulla via delle riforme sociali, calmatevi! Vi è chi provvede freni efficaci: vi è il Quirinale, il Vaticano, Montecitorio e Palazzo Madama, vi è il pergamo e il confessionale, il catechismo nelle scuole e.... la democrazia opportunista!”. Quando Anna Kulisciov tiene la sua conferenza Anna Maria è ancora la leader incontrastata del femminismo a Milano. E forse proprio per questo tra le due, decise e carismatiche, non scorre grande simpatia. E non può che storcere il naso per il fatto che Kulisciov indica non nel voto ma nella parità sul lavoro la via principale per l’emancipazione, nel solco di quanto chiesto da Flora Tristan, la nonna del pittore Paul Gauguin che nel 1843 aveva per prima legata la questione a quella del riscatto del proletariato, cinque anni prima della pubblicazione del Manifesto di Marx ed Engels che però non badò a far sì che l’alleanza tra femminismo e socialismo rivoluzionario desse frutti. Ancora alla fondazione della Prima Internazionale, a Londra nel 1864, le donne non vi furono ammesse, lasciando vittorioso l’antifemminismo del socialista Proudhon che aveva a chiare lettere sentenziato la “necessità” che le donne conservassero un ruolo secondario rispetto agli uomini in una lettera a Jenny Héricourt, una delle femministe che aveva vissuto peraltro la delusione di non vedere alcuna istanza riconosciuta dal governo repubblicano della rivoluzione del 1848 a Parigi che si conclude con la stretta repressiva del neobonapartismo contro tutte le leader del femminismo francese (da Jeanne Déroin a Pauline Roland, che morirà in carcere), le donne escluse per legge dalle associazioni politiche, i socialisti utopici di Étienne Cabet - il primo ad usare il termine comunismo ma ben lungi dall’accordare l’uguaglianza alle donne - in cerca della terra promessa della sua “Icaria” a Nauvoo, nell’Illinois, sulle resti di una comunità di mormoni, in quello stesso 1848 nel quale a New York la conferenza di Seneca Falls sancisce la “Declaration of sentiments” la quale “delibera che la donna è uguale all’uomo” e che “che è un dovere delle donne di questo paese assicurarsi il loro sacro diritto al voto”. E neanche il governo socialista della Comune di Parigi del 1871 riesce ad essere femminista come chiedeva “l’Unione Donne” fondata in quei giorni rivoluzionari da Elisabeth Dimitriev, amica di Marx, da André Leo, moglie del socialista Benedetto Malon, e dalla anarchiche Nathalie Lemel e Louise Michel. E tutto finì in un altro bagno di sangue: ben 17mila persone fucilate. E la fine della Prima Internazionale. Col tempo la critica di Anna Maria Mozzoni allo scarso attivismo dei socialisti verso la questione femminile si andrà facendo aperta. E quando a Genova nel 1892 nasce il Partito Socialista lei, sebbene componente del comitato centrale provvisorio, non vi aderisce. Con grande delusione della Kulisciov. Da allora, tra le due, sarà polemica. Quando Anna Maria, ormai 69enne, fondatrice dell’Alleanza femminile che si batte per il suffragio, nel 1906 - dopo aver firmato con Maria Montessori una petizione per il voto alle donne - la presenta anche alla Camera, Anna Kuliscioff il 25 giugno scrive sarcastica: “Un voto per le signore, mai fu fatta una commedia da godere da rudere, da divertisti”, “Giolitti si pavoneggia e di fronte a signore e a signorine armate di penna, di nastri, di pizzi e di toiletta primaverile... Quando tutti quei cappellini piumati, almeno nella loro élite, sapranno schierarsi tra i partiti politici che lottano e le teste scoperte delle operaie sapranno rinforzare di fatto il movimento operaio, allora speriamo che il secondo ingresso simbolico alla Camera sarà un po’ meno pacato del primo”. Perché per Anna, che veste gli austeri tailleur della stilista socialista Rosa Genoni, il femminismo non può essere che quello di classe, stella polare il diritto al lavoro che . “Sono estenuata dal lavoro e non ho forze sufficienti per affrontare una fatica così enorme come fare il medico dei poveri e salire i cinque piani” confessava nel 1888 quando la sera rientrava nella sua casa di via San Pietro all’Orto. Ma ogni giorno correva all’ambulatorio gratuito aperto da Alessandrina Massini Ravizza, tra le fondatrici nel 1899 dell’Unione Femminile di Milano. E sul divano verde della sua casa di Portici Galleria, con vista sulle guglie del duomo - che dal 1981 alla sua morte è redazione della rivista “Critica sociale” e salotto dei socialisti “umanitari” che si riuniscono intorno a Turati, il suo “Filippin” - non manca mai qualche umile donna che chiede aiuto alla “dutura”. Quando l’8 maggio 1898 il generale Bava Beccaris si conquista la croce di Grande Ufficiale dell’Ordine Militare facendo sparare per ordine di Umberto I sulla folla che protesta per i rincari del pane dovuti alla guerra tra Spagna e Stati Uniti, uccidendo un centinaio di persone, ferendone 400 e facendo fucilare sul posto un saldato che si era rifiutato di colpire i cittadini inermi, Anna Kulisciof e Filippo Turati vengono arrestati, già all’alba dell’8 maggio, considerati le menti della protesta (in realtà Turati era sceso in mezzo alla folla per calmare, inutilmente, gli animi). Poi nel 1898 è lei che guida con successo, tramite Turati, la trattativa del governo Giolitti nello sciopero delle risaiole e delle roncatrici di canapa di Molinella. Ed è sua, in sostanza, la legge Carcano che il 19 giugno 1902 proibisce di lavorare in fabbrica sotto i 12 anni, (fino ad allora gli operai tra i 6 e i 15 anni erano un quarto del totale), di farlo di notte e di superare le 12 ore.. Per la prima volta si concede alle donne un congedo di un mese dopo il parto e i permessi per l’allattamento (ma per avere la prima legge organica di tutela della lavoratrice madre bisognerà attendere il 1971). E non è escluso che sia stata proprio Anna - più di figure come Carolina Annoni Bollate, la leader delle tessitrici milanesi e Ida Fontana, segretaria della socialista Lega sarte da donna di Milano, prima donna nella commissione esecutiva della Camera del Lavoro - ad ispirare, in quello stesso giugno 1902, lo sciopero milanese delle 250 “piscinine”, le sartine apprendiste dagli 8 ai 14 anni (memorabile perché era la prima volta che i bambini sfruttavano protestavano: un anno prima negli Stati Uniti Mother Jones, tacciata come la “donna più pericolosa d’America”, organizzerà la marcia dei bambini delle fabbriche di Kensington). E’ grazie alla necessità di ispezioni previste dalla legge del 1902 che, cinque anni dopo, la 31enne milanese Santina Volonteri, ex sarta, socialista, diventa la prima donna ispettrice in Italia alle dipendenze di un ministero, in assoluto il quarto ispettore del lavoro a prendere servizio in un paese che contava oltre 243mila fabbriche. Ma, nel 1911, proprio Anna Kulisciov scende in campo nella battaglia per il voto delle donne con il Comitato Socialista per il suffragio femminile. Non poteva non farlo. A Londra, nel 1903, la 23enne Emmeline Pankhurst aveva fondato, insieme alla madre e alla sorella, la Women’s Social and Political Union, la più forte organizzazione delle suffragette britanniche. Tra il 1906 ed il 1907 i paesi scandinavi sono i primi nel Vecchio Continente a sancire il voto femminile . Nel 1907 la socialdemocratica tedesca Clara Zetkin, così importante da finire sepolta sotto le mura del Cremlino, promuove la prima conferenza delle donne della Seconda Internazionale, appendice del congresso di Stoccarda, in cui il suffragio femminile è uno dei temi dominanti. Tra i presenti anche la 37enne Rosa Luxemburg che infiamma con i suoi accenti rivoluzionari il coetaneo Lenin - non ancora noto- e la 35enne russa Aleksandra Michajlovna Kollontaj, la prima donna della storia ministro - dopo la rivoluzione d’ottobre del 1917 fu eletta commissario per l’Assistenza sociale (in Italia si dovrà attendere il 1951 per avere Angela Cingolani prima donna sottosegretario ed il 1976 per vedere Tina Anselmi eletta primo ministro donna, 30 anni dopo la Francia, 9 anni dopo che Indira Gandhi era diventata premier dell’India e 8 anni dopo che Golda Meir lo era diventata di Israele. Poi, nel 1979, l’elezione di Nilde Jotti a primo presidente donna della Camera italiana e di Simone Weil a presidente del Parlamento europeo). Ma nella sua battaglia per il voto alle donne Kuliscioff si trova sorprendentemente ostile proprio Turati, che teme che la richiesta del suffragio universale femminile possa rallentare il traguardo di quello maschile. L’uomo che grazie alle sue scelte radicali è diventato il maggior leader socialista – ruolo che sarebbe dovuto essere il suo se non fosse stata donna e per di più russa: “in Italia non c’è che un uomo, che in realtà è una donna e per di più russa: Anna Kuliscioff!” scriveva nel 1893 Antonio Labriola ad Engels - era diventato, come scrive lei stessa, “maestro di quella politica di cauti riformismi troppo spiccioli”. Tuttavia Turati nel 1912 presenta un emendamento sul voto alle donne. Ma passa la legge Giolitti che estende il diritto di voto anche agli analfabeti uomini dai 30 anni di età ma lo nega alle donne. Il motivo: le donne non sono pronte ad esercitare questo diritto politico. Prima vanno “testate” nel voto amministrativo. Viene formata una commissione per lavorare a questa riforma del diritto civile. Per Anna è la grande delusione. Da allora nei suoi articoli su Critica Sociale, si firma “Omega”, si auto-relega con fierezza sprezzante nelle retrovie del partito. Solo nel congresso del Psi del 1914 il partito si impegna formalmente a presentare una proposta di legge sul suffragio femminile. Ma arriva la guerra e quando, nel 1919, la Camera arriva finalmente ad approvarla non se ne fa niente perché le camere finiscono sciolte nell’ultima stagione del governo liberale. E nel 1925, anno terzo dell’era fascista, l’agognato sì al voto amministrativo per le donne suona come una farsa perché il regime poco dopo abolisce le elezioni per gli enti locali. Pure Mussolini si era fatto paladino della riforma. Il 15 maggio 1925, alla Camera, sette mesi prima della morte della 71enne Kulisciov - che chiamava sarcasticamente il Duce “l’anarchico perfetto”, additandone tutta la pericolosità -, aveva detto: “Non c' è dubbio che il posto occupato dalla donna nella vita sociale è oggi estesissimo e tende ad aumentare. Non la ricaccerete più, la donna, dalle posizioni in cui essa è venuta a trovarsi. A meno che non vi sia una catastrofe del capitalismo”. Tre anni dopo, mentre è in discussione la nuova legge elettorale, Ada Sacchi che con la sorella Bice aveva raccolto il testimone politico della madre Elena Casati, la mazziniana moglie del medico garibaldino Achille Sacchi, scrive al Duce - nella sua veste di esponente della Federazione italiana per il suffragio e i diritti della donna (Fised) - per rammentargli il suo impegno. Farà valere anche la sua conoscenza con Margherita Sarfatti . Ma senza risultato. Nel 1938 la Fised, che associava anche donne ebree, venne sciolta. Le donne italiane potranno votare nel 1946, nel referendum per la scelta tra monarchia e repubblica. Nella “selvaggia” Nuova Zelanda le donne votavano già da 53 anni, negli Stati Uniti da 26, in Inghilterra da 18. (Marina Greco)

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