di Paolo Pagliaro
(19 dicembre 2016) La carriera dirigenziale di Raffaele Marra, il collaboratore del sindaco di Roma ora in carcere per corruzione, si apre nell’aprile 2006 con l’incarico – ottenuto tramite regolare concorso - di Direttore Servizio Affari Generali presso il Consiglio per la ricerca e la sperimentazione in agricoltura.
Da quel momento, è una continua modifica di incarichi, vocazioni e competenze: dalla cura delle razze equine, area galoppo, alle politiche abitative, dagli interventi emergenziali alla consulenza in Rai in materia economica e finanziaria, dalla sicurezza urbana al gabinetto del sindaco, dall’organizzazione degli uffici alle partecipate, dalla tutela dei consumatori al trattamento giuridico dei dipendenti, dalla funzione vicaria di capo di gabinetto a capo del personale. Il tutto in virtù di una evidente duttilità e soprattutto del rapporto fiduciario con i politici e gli amministratori di riferimento: Alemanno come ministro e sindaco, Masi come direttore generale della Rai, Polverini come presidente della regione, Raggi come sindaco di Roma.
Secondo Luigi Oliveri – commentatore di fatti e misfatti della pubblica amministrazione – la carriera di Marra (e di altri mille come lui negli 8 mila comuni italiani), è uno degli effetti della riforma Bassanini, che vent’anni fa diede via libera all’ampliamento a dismisura dello spoil system, cioè a una dirigenza pubblica scelta dalla politica.
La situazione è peggiorata con i successori e non migliora con la riforma Madia – la sedicesima riforma della Pubblica Amministrazione che nell’arco di 25 anni ama definirsi “epocale”. Secondo un’indagine del Forum Pa presentata questa mattina a Roma, il 67% di chi lavora nel pubblico impiego boccia la riforma della ministra perché ritiene, appunto, che – abolendo figure di garanzia e controlli - conferisca troppo potere alla politica.