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A Tripoli torna
l’ambasciatore

A Tripoli torna <br> l’ambasciatore

di Paolo Pagliaro

(11 gennaio 2017) Da due giorni l’Italia ha di nuovo un ambasciatore Tripoli. E’ la prima sede diplomatica di un paese occidentale a riaprire i battenti in Libia dopo la guerra civile cominciata nel 2011 con la caduta di Gheddafi. Mentre Giuseppe Perrone presentava le credenziali al governo libico e si insediava alla guida di una delle ambasciate meno ambite del mondo, il ministro dell’Interno Marco Minniti firmava con il premer Serraj un’intesa riguardante i migranti.

L’accordo ricalca quelli che l’Italia stipulò nel 2008 e nel 2012, protagonisti anche allora i ministri dell’Interno. Quello del 2008 fu costruito da Roberto Maroni e annunciato a Bengasi da Berlusconi e Gheddafi. In quell’occasione Berlusconi riconsegnò a Gheddafi la statua della Venere di Cirene, che era stata scoperta da archeologi italiani nel 1913 e da allora custodita al Museo nazionale romano. L’accordo prevedeva che l’Italia versasse alla Libia cinque miliardi di dollari in vent’ anni, sotto forma di investimenti in progetti infrastrutturali. In cambio i libici si impegnavano al pattugliamento delle coste per impedire ai migranti di partire. Nel 2012 il ministro dell’Interno Annamaria Cancellieri e il suo omologo libico rinnovarono l’accordo, che prevedeva tra le altre cose l’addestramento della polizia di frontiera.

La nuova intesa si colloca nel solco di quelle precedenti. Tra l’altro Roma si è impegnata a fornire un sistema radar per pattugliare il confine con il Niger, da cui transita la maggior parte dei migranti in arrivo dall’Africa subsahariana.

L’accordo è molto problematico per varie ragioni, non ultima la capacità del governo di Tripoli - riconosciuto solo da una minoranza dei libici - di farlo rispettare.

(© 9Colonne - citare la fonte)