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direttore Paolo Pagliaro

Riformismo, un vuoto
riempito dai populisti

di Paolo Pagliaro

(12 aprile 2017) In vent’anni - dal 1985 al 2005 – una quantità oscillante tra gli 8 e i 10 punti percentuali di Pil si è spostata dal monte salari al monte profitti. Una cifra enorme, che per l’Italia equivale a 120 miliardi di euro l’anno, non più presenti nelle buste paga dei lavoratori e passati nella disponibilità delle imprese, che spesso li hanno impiegati nel circuito finanziario più che per investimenti produttivi. I miliardi sono diventati 200 negli anni successivi, quando la produzione di denaro per mezzo di denaro ha sancito la sconfitta storica del lavoro.

In un saggio pubblicato da Einaudi, Marco Revelli ragiona sulle cause che un tempo si sarebbero dette “strutturali” del populismo, fenomeno che si manifesta quando un popolo non si sente più rappresentato.

In un mondo fattosi abissalmente diseguale, nel quale otto super ricchi possiedono l’equivalente delle risorse di metà dell’umanità, non si trova più nessuno in grado di proporsi, credibilmente, come protagonista di una battaglia egualitaria. E accade allora che l’esercito dei perdenti si affidi a chi si rivela capace di dar voce alla sua rabbia.

Nel suo “Populismo 2.0” Revelli accusa le élite governanti d’Europa, e con esse la maggior parte dell’informazione di sistema, di aver combattuto e destabilizzato le poche esperienze che si sono dimostrate un credibile fattore di contrasto a quel tipo di contagio. E ricorda il trattamento imposto dai vertici europei alla Grecia, feroce nei contenuti e nelle forme, ben diverso da quello riservato all’Ungheria del filo spinato o alla Turchia del liberticida Erdogan. Eppure, per disinnescare almeno in parte le mine vaganti della post-democrazia, basterebbero forse dei segnali chiari, che Revelli elenca in quest’ordine: politiche tendenzialmente redistributive, servizi sociali accessibili, un sistema sanitario non massacrato, una dinamica salariale meno punitiva, la rinuncia al dogma dell’austerità. Quello che un tempo si chiamava riformismo e che oggi appare rivoluzionario.

(© 9Colonne - citare la fonte)