di Paolo Pagliaro

(21 settembre 2017) Il primo sindaco non comunista di Bologna, Giorgio Guazzaloca, diceva – di fronte a uno dei tanti problemi della città – che il traffico non è di destra né di sinistra. Diceva una cosa giusta sul versante della protesta, nel senso che a lamentarsi per la viabilità erano cittadini di tutti i colori politici, ma una cosa sbagliata sul versante della proposta, nel senso che mentre la destra voleva la libertà d’accesso al centro storico per tutti, la sinistra proponeva il potenziamento del trasporto pubblico. Due soluzioni tra loro molto diverse.

Parlando dei 5 Stelle il sociologo Piergiorgio Corbetta fa questo esempio per dire che la rinuncia di Grillo alla dimensione sinistra-destra se da un lato gli consente di pescare voti ovunque, dall’altro ha un prezzo in termini di credibilità dei programmi.

Nel saggio pubblicato in questi giorni dal Mulino (“Come cambia il partito di Grillo”) Corbetta osserva che temi controversi come immigrazione, Europa, sicurezza trovano declinazioni diverse a seconda che l’azione politica sia orientata a valori di sinistra o di destra. In assenza di questa bussola, le sbandate sono frequenti. Prendiamo l’Europa e l’euro. Nel giugno 2014 il Movimento 5 Stelle aderisce al gruppo più antieuropeista del parlamento di Strasburgo, con i promotori della Brexit, ma nel gennaio del 2017 chiede di aderire al gruppo dei liberali europei, il gruppo più filo europeista. Nel dicembre 2013 Grillo inizia sul blog una raccolta di firme per l’uscita dall’euro e chiede un referendum. Ma nel giugno scorso, incontrando gli ambasciatori europei, Luigi Di Maio raddrizza decisamente il tiro affermando che l’abbandono della moneta unica sarebbe solo l’extrema ratio e a Cernobbio pochi giorni fa assicura che il Movimento non vuole un’Italia populista e anti-europea. Quale sarà la linea una volta al governo, se mai dovesse accadere, resta un’incognita.