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La verità sul processo Andreotti raccontata
da Caselli e Lo Forte

di Piero Innocenti

(16 gennaio 2018) Bisogna leggere "La verità sul processo Andreotti" di Gian Carlo Caselli e Guido Lo Forte (Laterza, 2018) per capire i profondi legami che ci sono stati (e che continuano ad esserci) tra mafia e politica e come sia stato e sia difficile, ma non impossibile,  provare a intaccare quel sistema criminale. Il tascabile, da pochi giorni nelle librerie, si legge tutto d'un fiato e ripercorre, sinteticamente ma con la precisione e meticolosità ben note per chi conosce la professionalità e serietà dei due ex magistrati, le indagini e gli sforzi fatti per far emergere la verità su quelle pericolose relazioni tra mafia, politica, imprenditoria e massoneria deviata che hanno "inchiodato" a precise responsabilità uno dei più potenti politici italiani del dopoguerra (sette volte presidente del Consiglio e ministro in vari governi): Giulio Andreotti.
Molti italiani, in realtà, credono ancora oggi che Andreotti (deceduto nel 2013) sia stato totalmente assolto nel processo avviato dalla Procura di Palermo nel 1993 e conclusosi il 15 ottobre 2004 con la definitiva sentenza della Cassazione che fece tanto esultare il suo avvocato Giulia Bongiorno ( qualcuno ricorderà ancora la parola "assolto" urlata tre volte dal legale circondato da una folta schiera di giornalisti e telecamere). In realtà era sufficiente leggere con un po' di attenzione le poche righe del dispositivo della sentenza che il presidente della Corte di appello di Palermo aveva letto poco prima dichiarando commesso ( ma estinto per prescrizione e non per assoluzione) fino alla primavera del 1980 il reato ascritto all'imputato di collusione con la mafia. Ma anche la formula assolutoria per il periodo successivo al 1980 era "dubitativa" e, quindi, non escludeva affatto la sussistenza del fatto.
Dunque era una grande menzogna asserire che Andreotti era stato assolto e questa menzogna è stata sposata nei giorni e nelle settimane seguenti in diversi ambienti politico editoriali, tanto da indurre ad ignorare "..i gravissimi fatti concreti posti a fondamento del processo". Il rapporto mafia politica, secondo costoro, non c'era e se c'era aveva le caratteristiche di una "..vicenda locale, priva di respiro nazionale, irrilevante per la storia del Paese". Il processo, così, era diventato "politico", Andreotti era la vittima di un "teorema" e quasi "beatificato" (ha fatto, negli anni seguenti, da testimonial della famiglia per la Chiesa cattolica), i magistrati erano "colpevoli" di nefandezze varie per aver svolto semplicemente il proprio dovere, e furono insultati ripetutamente.
Nel libro, poi, si parla in modo puntuale, per chi voglia realmente capire la vastità della palude criminalpolitica, degli importanti contributi forniti, nelle varie inchieste giudiziarie, dai collaboratori di giustizia,del cosiddetto maxiprocesso, iniziato a Palermo nel 1986, e della "guerra" al pool antimafia e al giudice  Falcone, condotta da una "criminalità dei potenti" che continua, ancora oggi, a condizionare pesantemente la vita del nostro Paese.
Amare, ma pienamente condivisibili, le riflessioni degli autori nella parte conclusiva del saggio, laddove, tra l'altro, si afferma che "..tutte queste informazioni dovrebbero suscitare riflessioni, dibattiti, confronti, analisi e interrogativi sui limiti della democrazia nel nostro Paese, in particolare su quel che è stato e sta alla base (almeno per certi profili) del meccanismo del consenso. Sia pure con alcune importanti eccezioni, tutto ciò è mancato. Quando se ne è parlato, lo si è fatto di solito per cancellare, nascondere o stravolgere i fatti". Ed è questo, a ben vedere, l'aspetto più negativo, drammaticamente avvilente, in un Paese, il nostro, sempre più inquinato anche per le tante "verità" ancora nascoste o spesso manipolate.

 

 

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