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Elezioni, Faleg (PD): un ‘miracolo’ degli italiani all'estero è possibile

Elezioni, Faleg (PD): un ‘miracolo’ degli italiani all'estero è possibile

Giovanni Faleg ha ufficializzato nei giorni scorsi la sua candidatura per la Camera dei Deputati del Parlamento Italiano con il Partito Democratico, nella ripartizione America settentrionale e centrale. Faleg ha 34 anni, vive e lavora a Washington, DC, con la moglie e il figlio. Il suo approccio? “Avere un rapporto stretto con le comunità di italiani all’estero, ascoltarne i bisogni e costruire insieme un’azione politica forte e costante. Trovare ed attuare soluzioni per rispondere ai problemi dei cittadini italiani, andando oltre le ideologie, con passione democratica. E dare maggiore sostegno agli italiani in questo lato dell’Atlantico che fino ad ora non sono stati adeguatamente supportati: studenti, ricercatori, imprenditori, giovani professionisti”. A 9colonne Faleg – che è stato ricercatore presso l'Istituto Affari Internazionali – ha parlato di nuova emigrazione e cooperazione. Ha raccontato le motivazioni che lo hanno portato ad accettare la candidatura e le problematiche che affrontano oggi gli italiani in America settentrionale e centrale.

Cosa l’ha spinta ad accettare la candidatura?

La voglia di elaborare e realizzare politiche migliori. La voglia di contribuire al benessere dell’Italia e degli italiani. E la consapevolezza che in un momento politico complesso, caratterizzato da tanta approssimazione e rumore, e’ importante farsi avanti, per portare in politica competenza, serieta’ e qualita'. La proposta di candidarmi e’ arrivata un po’ a sorpresa ed ha implicato scelte personali e professionali difficili, quali ad esempio lasciare il mio lavoro di consulenza alla Banca Mondiale. Mi sono messo in gioco, ritenendo che fosse un onore, ed al contempo un dovere, cercare di portare le mie competenze professionali ed accademiche al servizio del nostro paese.

 Quali sono le problematiche che affrontano oggi gli italiani in America settentrionale e centrale?

Tante e variegate. Dalla necessita’ di avere servizi consolari piu’ accessibili e veloci, alla necessita’ di trovare meccanismi istituzionali di sostegno alle attivita’ degli imprenditori italiani all’estero, la cui ingegnosita’ deve essere maggiormente supportata. Aggiungo anche la difficolta’ per alcuni giovani professionisti di poter metter a disposizione le loro esperienze ed abilita’ acquisite all’estero, al servizio dell’ Italia. La categoria degli “italiani all’estero” e’ estremamente diversificata. Essa include lavoratori emigrati decenni fa che vogliono mantenere un legame, anche culturale, con l’Italia; giovani accademici e professionisti che hanno lasciato l’Italia in questi ultimi anni e si distinguono per il loro alto tasso di mobilità; persone che hanno avuto una carriera di successo in America e vorrebbero investire in Italia, ma vanno incontro a difficolta’ burocratiche ed una tassazione poco favorevole. Queste stratificazioni di migranti difficilmente riescono a comunicare tra loro e con le istituzioni italiane.  Il mio impegno e’ quello di lavorare per ricongiungere queste realta’ e le loro esigenze, trovando sinergie per il bene comune. Un’Italia piu’ forte e piu’ presente e’ un vantaggio, per tutti.

 

Cosa è cambiato nel rapporto tra l’Italia e i suoi emigranti negli ultimi anni?

Sono cambiati innanzitutto i numeri. Secondo le stime del rapporto Italiani nel mondo 2017 di Migrantes, dal 2006 al 2017 la mobilità italiana è aumentata del 60,1%. Il governo PD degli ultimi anni ha teso la mano verso le comunita’ di italiani all’estero. Ma si deve fare di piu’ per migliorare i servizi. Mi piacerebbe inoltre che si pensasse agli italiani all’estero come una risorsa da valorizzare, rendendoci protagonisti della rinascita del nostro paese. Grazie alla nostra visione del mondo, alle nostre capacita’, alla nostra tenacia. Facendo piu' "rete". Insieme possiamo realizzare un piccolo "miracolo" degli italiani all'estero.

 L’Italia deve incoraggiare la nuova emigrazione o trovare il modo di fermarla?

Come ha anche affermato spesso il famoso architetto Renzo Piano, i nostri connazionali, se vogliono, devono andare all’estero ed imparare tanto e confrontarsi con realta’ diverse, ma devono anche avere la possibilita’ di tornare senza sacrificare aspetti importanti come la crescita professionale, il benessere economico e la possibilita’ di metter su famiglia. Andare all’estero deve diventare una possibilita’, non una necessita’. Viviamo in un mondo globalizzato che offre molte opportunita’ fuori dai confini nazionali. Un’Italia con una forte proiezione internazionale deve saper mettere a disposizione dei propri cittadini queste opportunita’, ad esempio dando maggiore visibilita’ alle iniziative imprenditoriali e favorendo connessioni fra aziende di italiani all’estero e aziende in Italia, potenziando il business to business. Ma l’Italia deve anche essere attrattiva per chi, dopo un periodo all’estero, vuole tornare, e qui mi riferisco in particolare ai ricercatori, che dopo aver acquisito know how in universita' estere potrebbero metterlo a disposizione del nostro paese.

 E’ un esperto di cooperazione allo sviluppo. L’Italia secondo lei che ruolo sta giocando nel settore?

L’Italia sotto il governo PD ha riacquisito credibilita’ sulle piattaforme internazionali e nel gennaio del 2016 l’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo (istituita nel 2014) e’ diventata operativa sotto la guida di persone estremamente competenti nel campo. Ritengo che questo sia stato un passo da gigante nella giusta direzione. Non possiamo aspettarci di esercitare influenza nel settore senza avere risorse dedicate a tale scopo. Un ruolo attivo dell'Italia nella cooperazione può contribuire a rendere il nostro paese più sicuro dalle minacce globali (terrorismo, flussi migratori incontrollabili), ponendo le basi per lo sviluppo sostenibile, in particolare in zone del mondo caratterizzate da fragilità, conflitti e violenza, quali ad esempio il Sahel o il bacino del Lago Chad. Continuiamo quindi il buon lavoro svolto negli ultimi due anni, espandendo le aree tecniche di intervento, ad esempio coinvolgendo maggiormente il settore privato negli aiuti allo sviluppo, e garantendo un impegno italiano nella stabilizzazione degli stati fragili, per ridurre i flussi migratori causati dai conflitti e favorire politiche di mantenimento e consolidamento della pace.

(Gil – 6 feb)

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