di Paolo Pagliaro

(4 maggio 2018) Nel 2008 il Pd di Veltroni raccolse alle elezioni politiche il 33,2%. Nel 2013 il Pd di Bersani non superò il 25,4. Nel 2018 il Pd di Renzi è sceso al 18,7.
Sulle origini del declino ci sono molte ipotesi, non tutte disinteressate.  Pochi però si sono chiesti come è cambiato in questi anni l’elettorato del Pd  e se non sia da ricercare in questo eventuale mutamento la chiave dell’insuccesso.  Lo ha fatto il politologo Lorenzo De Sio, che  -  utilizzando lo strumento del sondaggio - ha ricostruito le posizioni su vari temi di chi aveva votato Pd cinque anni fa, e poi le ha confrontate con quelle di chi l’ha votato oggi. I temi sono una quindicina e vanno dalle droghe leggere all’immigrazione, dalle tasse al lavoro.
Il risultato, che si può leggere sul sito del Centro Italiano Studi Elettorali, è che l’elettorato del Pd tra 2013 e 2018 si è evoluto in una direzione che lo rende più “radicale”, cioè è diventato più di sinistra sui diritti civili e più di destra sull’economia. Un’evoluzione perfettamente coerente -  scrive il professor De Sio – con la determinazione di Renzi  nel voler imprimere al Pd un profilo nuovo, più simile al centrismo di Macron che al vecchio Pd socialdemocratico di Bersani.
E’ molto significativa, ad esempio, la metamorfosi dell’elettorato Pd su un tema come la maggior libertà per le aziende di assumere e licenziare: mentre nel 2013 chi votava Pd era più contrario a questa maggior libertà di licenziamento rispetto alla media degli italiani, nel 2018 è invece più favorevole rispetto alla media.
La conclusione di De Sio è che oggi il Pd è il partito con l’ elettorato più lontano dalla posizione media degli italiani su molti temi ed è sempre più simile a un partito delle elite.
Sarebbe una questione che potrebbe appassionare lo stato maggiore del  partito dove però il problema, come leggiamo oggi sul Corriere, sembra essere quello di stabilire a chi spetta fare le liste in caso di elezioni anticipate.