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direttore Paolo Pagliaro

C’era una volta
la spending review

di Paolo Pagliaro


(28 settembre 2018) La decisione di finanziare riforme e sussidi facendo nuovo debito non era inevitabile. I miliardi necessari per reddito di cittadinanza, pensioni anticipate e sconti fiscali potevano essere trovati anche tagliando sprechi e spese superflue.
Si chiama spending review, revisione della spesa, e se ne parla ormai da molti anni, da quando cioè – nel 2006 – la introdusse nel gergo della politica Tommaso Padoa Schioppa, all’epoca ministro del Tesoro nel governo Prodi. Da allora vi ci sono dedicati, con alterni e comunque modesti risultati, economisti e giuristi di primo piano come Enrico Bondi, Mario Canzio, Giuliano Amato e Francesco Giavazzi.
Il piano più ambizioso, cinque anni fa, fu quello di Carlo Cottarelli, economista del Fondo Monetario richiamato in Italia dal premier Enrico Letta e messo a capo di una agguerrita commissione tecnica che con 8 tavoli verticali e 7 trasversali prese di mira l’intero perimetro della pubblica amministrazione, allo scopo di indicare tutte le voci di spesa effettivamente aggredibili, lasciando poi alla politica la scelta di quali misure adottare. Cottarelli proponeva di chiudere 2 mila società partecipate, accorpare i centri di spesa, tagliare sanità, pensioni, province, corpi di polizia, fondi per le imprese e auto blu. Prometteva di far risparmiare allo Stato 7 miliardi nel 2014, 18 miliardi nel 2015 e ben 33 miliardi nel 2016. Ma Cottarelli durò solo un anno, perché quando a Letta subentrò Renzi fu indotto alle dimissioni. Da allora la spending review è progressivamente andata scomparendo dal linguaggio della politica e non c’è da attendersi che torni in auge adesso.

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