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direttore Paolo Pagliaro

Milan e stile di vita
i ricordi di Maldini

Milan e stile di vita <br> i ricordi di Maldini

“Un capitano, c’è solo un capitano”. Quando Paolo Maldini fa il suo ingresso sul palco dell’Auditorium Santa Chiara al Festival dello Sport di Trento viene accolto dallo stesso coro e con lo stesso entusiasmo di quando faceva la storia del Milan. Oggi (da tre mesi in realtà) è direttore sviluppo strategico area sport, a rinsaldare quel legame eterno che tiene unita la sua famiglia alla società rossonera. “La storia della mia famiglia è legata alla maglia del Milan dai primi ani 50 al 2009, quando ho smesso. Ma c’era comunque uno dei miei figli dopo, quindi la nostra famiglia non si è mai staccata”. “Sono nato – continua il recordman in rossonero - quando mio papà aveva già smesso di giocare. Non lo ho mai visto in campo, ma tanti mi raccontavano il suo modo speciale di giocare e questo mi ha affascinato molto. Papà era innamorato del bel calcio. La pressione l’ho sentita, ho usato però quella pressione per avere altri stimoli, anche se per me lo stimolo principale restava il pallone”. Quello stimolo iniziato con il primo provino con il Milan. “Ho comprato con mia mamma le scarpe in corso Buenos Aires, mi hanno chiesto che ruolo avessi, non lo avevo, c’era libero il ruolo di ala destra. Ho giocato e mi hanno fatto firmare subito”. In campo e fuori, il suo stile è lo stesso e deriva proprio dagli insegnamenti che gli ha lasciato il padre Cesare: “Non riesco a scindere la persona dal calciatore, penso sia importante una rettitudine di comportamento sempre. Mi è stato insegnato e ho fatto altrettanto ai miei figli”. Riassumere tutti i record di Maldini è un’impresa ardua: bisogna risalire a quell’esordio (record ovviamente) a Udine, a 16 anni e 208 giorni. “Fino a quel giorno – ricorda - non pensavo di poter essere in grado di giocare in serie A. Una volta finita quella partita ne ero consapevole. Oggi i talenti ci sono anche se il sistema non li aiuta ad uscire: o si è fenomeni o non si è pronti nemmeno per giocare in C. Il calcio invece dovrebbe andare nella direzione di far crescere i giovani”. Poi il ricordo passa per i grandi tecnici della sua carriera, da Liedholm che lo fece debuttare a Sacchi, Capello e Ancelotti. “Sacchi era così maniacale che lo stress lo ha consumato veramente tanto. Ma spesso i geni sono così. Alcune sue idee sono ancora oggi rivoluzionarie. Era il più pressante, ho ancora gli incubi. Ma è stato un insegnamento continuo. Abbiamo vinto più in Europa che in Italia perché lui non voleva mai cambiare modo di giocare, così preciso e intenso”. “Capello è stato manager ma anche grandissimo allenatore, ha avuto esperienze diverse ma era un tecnico al 100 per cento. Nella finale con il Barcellona partivamo sfavoriti, ma Capello ci disse che avremmo vinto sicuramente” continua Maldini che sottolinea: “Per me comunque tutto è iniziato con Liedholm, ha avuto il coraggio di lanciare giovani e già nel 1985 giocavamo con 4 difensori in linea. E’ lui che ha fatto iniziare l’epoca del Milan”. Quindi i successi con Ancelotti: “Con Carlo è stato un periodo bellissimo: un amico e un grande nella gestione del gruppo. Sono una persona emotiva e dopo i 30 anni le emozioni si riescono a gestire. Un periodo bellissimo”. E ovviamente il presidente dei 25 anni di successi, Silvio Berlusconi: “Un visionario, arrivò dicendoci che saremmo diventati i più forti del mondo e noi ridevamo sotto i baffi. Dall’arrivo di Sacchi e dai suoi discorsi abbiamo capito che sarebbe cambiato tutto. La passione è stata la chiave del nostro successo in quei 25 anni”. Anche i duelli sul campo con i grandi avversari diventano un ricordo piacevole: “Maradona era qualcosa di diverso, Ronaldo dell’Inter era super completo veloce e tecnico come Totti, anche se le nostre sfide erano legate solo a competizioni nazionali. Ora preferisco Messi a Cristiano Ronaldo: senza nulla togliere allo juventino, Messi è l’essenza del calcio, mi ricorda molto Maradona, spesso picchiato in campo senza mai protestare”. Maldini parla del suo addio (“è andata bene così, non capivo neanche le polemiche che c’erano”) e inevitabilmente della Nazionale: “Era destino che non vincessi, dissi di no al mondiale 2006 per problemi fisici e hanno vinto. Ho avuto comunque una storia bellissima con l’Italia, è stato stupendo. Anche i rigori di Usa 94 e il golden gol di Trezeguet fanno parte del gioco. O anche la semifinale di Napoli nel 1990 contro Maradona: è sempre successo di tutto. Forse la chiusura con la Corea è stato quello che cancellerei. Ricordo che l’arbitro Byron Moreno non volle neanche stringere la mano a Tommasi prima della partita; da allora ebbe un atteggiamento ostile per tuta la gara. Io parlo spagnolo e quella volta tirai fuori tutto il peggio di me. La conferenza stampa che ne seguì mi fece capire che dovevo smettere con la Nazionale. Ma l’anno dopo mi sono rifatto con gli interessi con una stagione straordinaria col Milan anche se la sensazione che si prova a giocare un Mondiale in azzurro non te la dà nessun altro sport”. Oggi, dopo tanti anni, c’è di nuovo il Milan con un incarico dirigenziale al fianco di Leonardo, che lo ha richiamato: “Ora ci dividiamo l’area sportiva: dalla gestione della squadra e dell’allenatore fino al dare un certo senso di appartenenza al club. Ora vado in ufficio la mattina. Il Milan che ho trovato oggi è cambiato ma certi principi devono rimanere ed è quello che vogliamo per tornare a quei valori del Milan. In un club come il Milan bisogna avere chiara l’idea che si va per vincere qualcosa. E il Milan deve tornare competitivo al più presto”. (Lam) 

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