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direttore Paolo Pagliaro

“Ferrari, non è finita”
parola di Arrivabene

“Ferrari, non è finita” <br> parola di Arrivabene

Sul loggione del Teatro Sociale di Trento è appesa una bandiera del Cavallino. E se dalla pista, di questi tempi, arrivano poche gioie, ci si può abbondantemente soddisfare con i ricordi. Così l’incontro con il direttore della Gestione Sportiva e team principal della Ferrari, Maurizio Arrivabene, diventa una splendida occasione per ricordare una Formula Uno più umana, passando per il mito del Drake per arrivare ad Ayrton Senna, Alain Prost e soprattutto di Michael Schumacher, il più vincente di sempre. Il compito di Arrivabene non è facile: ogni tanto dalla platea si alza qualche voce che chiede vittorie, lui sorride e lancia una frase che suona come musica per i ferraristi: “So che i punti sono tanti ma sento che non è ancora finita: non andiamo ad Austin a porgere il titolo alla Mercedes”. Il fulcro però è il passato, partendo come detto da Enzo Ferrari. “L’ho conosciuto a fine 1987, si pensava a un progetto che fosse più ampio: affiancare un team manager a Ferrari. Per questa idea serviva la benedizione del Drake. Andammo a Maranello, nella sua casa di Fiorano: mi fecero aspettare fuori, come un’udienza papale. Nel frattempo le macchine provavano in pista: io vidi arrivare una F1 davanti e non potevo crederci. Ho saputo che Enzo Ferrari era alla finestra, mi guardava e disse che andavo bene per come avevo osservato le automobili”. Arrivabene ricorda anche una Formula Uno dal volto più umano, con piloti istrionici (“Berger faceva molti scherzi a Senna, ma Ayrton sapeva capire l’essenza delle persone”) e un contatto con la gente che si è un po’ perso. Ma a sparire è proprio la figura del pilota trasgressivo dentro e fuori dalla pista: “La F1  ha una complessità tale che il pilota è tutto il tempo al lavoro, c’è poco tempo per altre cose. Oggi a colpire è proprio la normalità”. Occhi rossi quando si parla di Schumi, col quale Arrivabene non ha però lavorato nel suo ruolo attuale dove, invece, il rapporto con Seb Vettel che lo stesso Team Principal paragona proprio a Michael: “La cosa impressionante è che quando parla Sebastian in gara mi sembra di sentire Michael, ha lo stesso atteggiamento. Seb non è un personaggio che si fa viziare: è molto spontaneo, molto aperto anzi si sforza per essere più italiano per la sua grande passione per la Ferrari. Mi raccontava che col padre scendevano in vacanza in Riviera e la tappa fissa era Maranello per ore a veder girare la Ferrari dal ponte. Da lì nacque la sua passione: per lui trovarsi alla Ferrari è un’emozione vera, a volte anche troppo. E’ un ragazzo molto sincero e diretto, estremamente coinvolto”. “Vettel – prosegue Arrivabene - deve sentire la macchina disegnata intorno a sé, essere un tutt’uno con la macchina. Ma sento che non è ancora finita: nessuno parte per Austin a consegnare il Mondiale alla Mercedes. E’ difficilissimo ma Sebastian prima o poi campione del mondo con la Ferrari ci diventa”. Anche per Arrivabene le motivazioni con la Rossa sono molte: “Voglio fare qualcosa per il mio paese, sfruttando quanto ho imparato in Svizzera: poter fare qualcosa di grande alla Ferrari è importante e quando ho avuto la chance non potevo dire di no. Alla Mercedes ci sono 1200 persone che lavorano, a Maranello 1200 di cui 750 ingegneri per le varie specializzazioni. Ognuno di loro lavora con la passione per la Ferrari di cui parlavo. E quando un Gp va male penso soprattutto a queste persone che sono le prime a soffrire nella nostra grande famiglia”. Per tornare a vincere, dunque, serve una macchina non buona ma perfetta, come quella che nel 2002 e nel 2004 “ammazzò” il campionato a metà stagione: “Si lavora però in maniera troppo chiusa, bisogna essere aperti all’esterno con nuove tecnologie e non bisogna mai mollare, anche di fronte ai numeri che ci sono tutti contro, non mollare mai. E sono sicuro che ci arriveremo”.

 (Lam)

 

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