Agenzia Giornalistica
direttore Paolo Pagliaro

Bussoletti
racconta
il cinismo

Libri
Ogni settimana uno scaffale diverso, ogni settimana sarà come entrare in una libreria virtuale per sfogliare un volume di cui si è sentito parlare o che incuriosisce. Lo "Speciale libri" illustra le novità delle principali case editrici nazionali e degli autori più amati, senza perdere di vista scrittori emergenti e realtà indipendenti. I generi spaziano dai saggi ai romanzi, dalle inchieste giornalistiche, alla storia e alle biografie.

Bussoletti <br> racconta <br> il cinismo

IL CANTAUTORE BUSSOLETTI RACCONTA IL CINISMO

Guizzi linguistici, picchi creativi suadenti, ironici, erotici, commoventi, paradossali, che affascinano il lettore, lo seducono, lo incalzano e lo fanno innamorare perché non esiste fascino più grande di una mente umana che si coalizza con la propria profondità d’animo, con la propria sensibilità, trasformando questa coalizione in parole e testi di spessore. E Bussoletti -al suo esordio nella narrativa- è l’esempio lampante, palpabile, concreto di tutto ciò con la pubblicazione di “Microcinici. Strane storie di intercettazioni lontane” (casa editrice Round Robin). Un lavoro atteso, dopo che l’autore era riuscito a duettare col premio Nobel Dario Fo e dopo aver ricevuto diversi premi prestigiosi sui testi, tra cui il Dionida e il Lunezia. Una lettura frammentaria, modulare per un pubblico sempre di fretta, disattento, distratto dalla frenesia del quotidiano e, quindi, desideroso di poter leggere nei pochi spazi di tempo libero a disposizione. Microcinici verrà presentato il 30 ottobre alle 18 presso la libreria Feltrinelli di Via Appia (Roma) con l'attore Massimiliano Bruno che leggerà un paio di racconti dal libro.

 

NEL MEDITERRANEO IL DESTINO DELL’EUROPA

Europa, Globalizzazione e Mediterraneo. Come stanno il Mediterraneo in Europa e l’Europa nella globalizzazione? Male. L’Europa è in una fase di smantellamento: si è passati dal motto, sbagliato ma gettonato tempo fa di “scalare le Alpi per non precipitare nel Mediterraneo”, a quello attuale e peggiore di “padroni a casa nostra”: un precipitare accelerato verso il dissolvimento dell’Unione Europea e della sua cultura. Il che significa non riconoscere la sua lunga storia, identità e progresso. E uno smarrimento della bussola che ci dovrebbe orientare su come muoverci nel futuro. Sono questi i temi di riflessione dell’ultimo e recente libro di Mimmo Nunnari, “Destino Mediterraneo. Solo il mare nostro ci salverà” (Rubbettino, 2018, 252 pagine, 15 euro). Nunnari, attento e sensibile giornalista e saggista, capace di articolate e severe analisi sociologiche e antropologiche, ricostruisce la storia del Mediterraneo attraverso il suo enigma millenario, le vicende delle sue navigazioni, i commerci e le guerre. In un rapporto che non tralascia le piraterie, la schiavitù e le migrazioni, la pesca dei tonni e del pesce spada, che mescola i linguaggi delle sue sponde, il ruolo dei media nella regione araba, il rapporto tra Oriente e Occidente che passa anche attraverso il terrorismo, le rivoluzioni laiche e il Sud Italia. Lo fa da figlio del paese di mare di Mia Martini, Bagnara, da “uomo di mare dalla testa ai piedi”, come ama definirsi sottolineando che è tale nella testa e nel cuore, nel pensare e nell’agire. Ed esaltando, attraverso la citazione di molti scrittori, il fascino e le meraviglie ineguagliabili di questo mare e concentrandosi sull’Italia, protagonista assoluta, con il Mediterraneo in casa e con il suo Meridione, ponte tra Occidente e Oriente e il Nord Africa. Ricorda come la grande questione migranti non sia una prospettiva nuova o un’”emergenza”, né tantomeno, un “problema”. È una condizione umana da secoli, che viene dalla millenaria storia di varie umanità in fuga da guerre, violenze, bisogno. Oggi dipinta come l’elemento che metterebbe a soqquadro l’ordine costituito europeo e occidentale, la nostra sicurezza e il nostro benessere. Eppure le cose non stanno così, quindi la tesi di Nunnari, già nel sottotitolo del libro, è che “solo il mare nostro ci salverà”. Il riconoscere la storia mediterranea e proiettarla nel futuro sarà il nostro destino e salverà l’Europa in disfacimento: “Un’Europa da rianimare con urgenza o peggio da risuscitare, non può prescindere dal volgere lo sguardo alle sue radici, siano esse greche, latine, ebraiche o cristiane o arabe. Se [l’Europa] vuole un futuro deve tornare a interrogare la sua storia, che è tutta quanta compresa entro le sponde del Mediterraneo”. E dove sta l’essenza di questa storia? Nel “fatto che nel Mediterraneo, qualunque punto, partendo da un altro punto, può essere raggiunto solo in pochi giorni di navigazione, ha consentito ai popoli navigatori facilità di movimenti, rapporti di ogni tipo, come commercio, guerra, tecniche, leggende e linguaggi”. E oggi, le nuove tecnologie della navigazione via mare e via internet, hanno accorciato tempi e distanze aumentando i rapporti. Per cui è non solo inutile pensare, come fa parte dell’Occidente e come ricorda l’autore, che il Mediterraneo sia “una frontiera da sorvegliare, per sbarrare il passo ai migranti”, è anche avulso dalla storia dello stesso Occidente. Perché, come scriveva il poeta francese Paul Valéry, “tutti i fattori essenziali del successivo formarsi della civiltà europea e occidentale, non sono altro che i prodotti delle continue contaminazioni mediterranee. È nelle rive di questo mare che la scienza si è liberata dall’empirismo e dalla pratica, che l’arte si è spogliata dalle sue origini simboliche, la letteratura si è costituita in generi ben distinti, mentre la filosofia ha saggiato le sue infinite possibilità”. Dunque il Mediterraneo non è solo eredità del passato, ma destino del futuro.

 

I MURI SONO ANCORA META’ DELLA CIRCONFERENZA TERRESTRE

Fra tre settimane, precisamente il 9 novembre, si celebrerà il ventinovesimo anniversario della caduta del muro di Berlino. Un evento storico che ha segnato profondamente e positivamente la coscienza di chi era cresciuto durante la Guerra fredda e nella divisione del mondo tra Est e Ovest. Lo storico e “azzardato” annuncio dato in diretta dal ministro della DDR Günter Schabowski fece sì che immediatamente, decine di migliaia di persone di Berlino Est, si riversassero lungo il muro per passare nella zona Ovest, quella “americana”, degli “uomini liberi”. Quell’evento divenne, nella coscienza collettiva, il simbolo della libertà: “Niente più guerre. Niente più muri. Un mondo unito”, fu lo slogan popolare che apparve sul Muro vicino la East Side Gallery e che divenne immediatamente un auspicio mondiale sotto le note di “Wind of change” degli Scorpions, assurta presto a colonna sonora della caduta del muro e delle politiche di apertura. Invece, ben presto, ci si è resi conto che di muri non solo ne sono rimasti diversi, ma che da qualche anno si è ricominciato a costruirne di nuovi, più grandi e più invalicabili. Lo spiega in un libro appena uscito Veronica Arpaia, professoressa della Sapienza di Roma e collaboratrice del blog del Corriere della Sera, che da anni lavora all’Agenzia Spaziale Europea dopo aver trascorso lunghi periodi di studio in diversi paesi all’estero. Si tratta di “Tempo di muri. Un mondo diviso: da Berlino a Trump” (Luni, 2018, 320 pagine, 24,00 euro). Arpaia ricostruisce come i muri che diversi governi occidentali (e non solo) stanno erigendo negli ultimi quindici anni abbiano ormai raggiunta una impressionante cintura chilometrica pari alla metà della circonferenza terrestre. Il suo lavoro parte dal piano legislativo che consente (o no) la costruzione di queste nuove “frontiere” e attinge agli atti del Congresso degli Stati Uniti a partire dal 1973. Con questo materiale l’autrice illumina il sottile filo di impegni finanziari che legano Washington al resto del mondo, gettando nuova luce sugli interessi politici degli USA verso aree geografiche storicamente oggetto di divisioni e ribadendo la convinzione americana del “Manifest destiny”, cioè quel credo secondo il quale gli USA hanno la missione, ovvia, inevitabile e buona, di espandersi nel mondo e diffondere la propria idea di democrazia e libertà. Arpaia dipana il suo ragionamento partendo da quattro casi di muri: quello americano voluto da Trump al confine con il Messico; quello della piccola isola di Cipro, dove i giacimenti di gas sono oggetto di attenzione di grandi capitali israeliani; quello di Belfast, dove è alto il pericolo di ritorno di vecchi conflitti sui quali getta benzina la Brexit; quello della West Bank, all’origine di una violenta contesa giuridica tra la Corte Internazionale di Giustizia e Washington. Tra i tanti muri e fili spinati che si allungano sul Pianeta, questi quattro diventano per l’autrice paradigmatici di come situazioni e conflitti che nell’’89 pensavamo di esserci messi definitivamente alle spalle, aprendo una fase nuova della storia dell’umanità, in effetti sono ancora vivi e rendono difficilissime soluzioni politiche efficaci. Ecco, dunque, che Berlino, con la sua parabola metaforica della Guerra fredda, era e rimane “un caso paradigmatico di vecchie, ma al tempo stesso recenti divisioni tutte da riscoprire”. Un libro, quindi, che ci tiene all’erta spiegandoci che c’è ancora poco da stare allegri.

 

BREVE STORIA DELL’UBRIACHEZZA

Secondo una leggenda africana, le donne persero coda e pelliccia quando il dio della creazione insegnò loro a fare la birra. Fu così che ebbe origine l’umanità. Da allora, incontriamo l’alcol ovunque, dai primi insediamenti neolitici fino alle astronavi che sfidano l’ignoto spazio profondo, e insieme al bere troviamo la sua compagna più sfrenata, allegra e sovversiva: l’ubriachezza. L’ubriachezza è universale e sempre diversa, esiste in ogni tempo e in ogni luogo. Può assumere la forma di una celebrazione o di un rituale, fornire il pretesto per una guerra, aiutare a prendere decisioni o siglare contratti; è istigatrice di violenza e incitamento alla pace, dovere dei re e sollievo dei contadini. Gli esseri umani bevono per sancire la fine di una giornata di lavoro, bevono per evasione, per onorare un antenato, per motivi religiosi o fini sessuali. Il mondo, nella solitudine della sobrietà, non è mai stato sufficiente. “Breve storia dell’ubriachezza” di Mark Forsyth (Il Saggiatore, traduzione di Francesca Crescentini) osserva il nostro passato dal fondo di una bottiglia, da quello spazio vitale – il bar – che è abolizione temporanea delle regole dominanti, festa del divenire e convegno di gioie. Grazie alla scrittura colta ed esilarante di Mark Forsyth, vivremo l’ebbrezza di un viaggio che dalle bettole degli antichi sumeri penetra nelle stanze di un simposio ateniese; assisteremo al sorso di vino che ha cambiato il mondo per sempre, quello bevuto da Cristo nell’ultima cena; entreremo nella taverna in cui è nata la letteratura inglese e ascolteremo il crepitio dei revolver nei peggiori saloon del Selvaggio West. Infine, come in quell’antica leggenda africana, scopriremo che la nostra civiltà nasce grazie al sacro dono dell’alcol: perché bere è umano, ubriacarsi è divino. Mark Forsyth è un linguista e scrittore britannico. In Italia ha pubblicato L’ignoto ignoto. Le librerie e il piacere di non trovare quello che cercavi (Laterza, 2017).

 

IL NEMICO INDOMABILE, ROMA CONTRO I GERMANI

Un impero all’apice della sua potenza e votato a una espansione senza limiti contro popoli liberi e indomabili. La lotta tra Roma e i Germani è un confronto drammatico, una sfida epica per la sopravvivenza. Una questione antica che segna una frattura nel cuore dell’Europa attraverso i secoli, raccontata da  Umberto Roberto in “Il nemico indomabile. Roma contro i Germani” (Laterza). Tutto ha inizio con la conquista romana, alla fine del primo secolo avanti Cristo. L’assoggettamento delle popolazioni indigene, lo sfruttamento delle risorse, la costruzione di insediamenti nelle remote regioni del Nord. Ma i Germani non si arresero alla sottomissione. Un’improvvisa insurrezione capeggiata da Arminio sbaraglia i Romani nella foresta di Teutoburgo, costringendoli a una precipitosa fuga oltre il Reno. La vendetta romana, a opera di Germanico, ebbe una dimensione epica: agguati, tradimenti, flotte lanciate ai limiti del mondo conosciuto, fino alla completa vittoria celebrata in un trionfo sui barbari in catene. Poi, inaspettata, giunge la decisione di Tiberio. Il principe abbandona i Germani al loro destino e riporta il confine sulle rive del Reno. Queste vicende hanno dato vita a un mito potente: quello dei Germani ribelli e indomabili, tenaci custodi della loro libertà, capaci di umiliare uno degli imperi più potenti della storia, ostili a una piena integrazione nella civiltà latina. Un mito che evoca una frattura nel cuore dell’Europa, un dissidio che attraversa tutta la nostra storia fino a oggi. Umberto Roberto è professore ordinario di Storia romana presso l’Università Europea di Roma. Si occupa principalmente di storiografia antica e tardoantica, di storia del terzo secolo d.C., dei rapporti tra barbari e mondo romano. Tra le sue pubblicazioni, Le Chronographiaedi Sesto Giulio Africano. Storiografia, politica e cristianesimo nell’età dei Severi (Rubbettino 2011) e Diocleziano (Salerno Editrice 2014).

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