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direttore Paolo Pagliaro

CARNE SENZA ANTIBIOTICI,
CIWF: SOLO MARKETING

CARNE SENZA ANTIBIOTICI, <BR> CIWF: SOLO MARKETING

Chi acquista carne e uova “senza antibiotici” o “antibiotic free” è disposto a pagare di più perché è convinto di comprare un prodotto di maggiore qualità e che comporta minori rischi sanitari. Ma quali garanzie ci sono che sia veramente così? La sezione italiana di CIWF (Compassion in World Farming) organizzazione che si occupa di diffondere un allevamento rispettoso degli animali, parla di “miti da sfatare” e invita i consumatori a non acquistarla preferendo prodotti da allevamenti all’aperto e biologici. “La mancanza di residui vale per qualsiasi tipo di carne in commercio, in quanto per legge, dopo la somministrazione degli antibiotici, bisogna seguire dei giorni di sospensione in cui gli animali non ricevono antibiotici prima di essere macellati” si legge in una nota. Inoltre la carne e le uova antibiotic free “non provengono da animali allevati senza l’uso di farmaci. Anzi, nella maggior parte dei casi, per compensare il mancato uso di antibiotici in sistemi di allevamento in cui non c’è stato nessun miglioramento delle condizioni di benessere degli animali, viene fatto un uso massiccio di altri farmaci. Nel caso dei polli, per esempio, il disciplinare per l’antibiotic free ammette l’uso di farmaci chiamati coccidiostatici ionofori, che hanno anche una funzione antimicrobica e il cui uso su larga scala, proprio come nel caso degli antibiotici, può causare l’insorgenza di fenomeni di resistenza al loro utilizzo. Studi preliminari riportati da un report norvegese sull’uso di questi farmaci hanno inoltre messo in evidenza una possibile associazione, in alcuni batteri, tra la diffusione della resistenza agli ionofori e quella agli antibiotici. L’impiego di coccidiostatici, così come quello degli antibiotici, è importante per garantire una buona salute agli animali, ma dovrebbe essere fatto in maniera responsabile, all’interno di allevamenti maggiormente rispettosi del benessere animale. Si sostiene anche che la dicitura “senza l’uso di antibiotici negli ultimi 4 mesi” è fuorviante “perché nella maggior parte degli allevamenti di suini e bovini è molto frequente che gli antibiotici non vengano usati negli ultimi 4 mesi di vita degli animali, indipendentemente dal fatto che la carne sia etichettata ‘senza antibiotici’ o meno. La gran parte degli antibiotici viene infatti impiegata quando gli animali sono giovani, soprattutto nelle fasi intorno allo svezzamento o a seguito di viaggi su lunghe distanze, aspetti che sfuggono dalla dicitura” in questione, “ma il consumatore paga di più la carne etichettata senza antibiotici”. Si evidenzia anche che “a meno che non sia chiaramente indicato in etichetta, è possibile che nessun miglioramento di benessere animale sia connesso con l’antibiotic free. Addirittura può essere che, soprattutto nel caso di bovini e suini, si provi a ritardare le cure per mantenere il capo all’interno di una filiera che rende di più, perché più costosa al consumatore. Se si vogliono prodotti da animali allevati in condizioni migliori (e quindi più sani), non è necessario comprare la carne antibiotic free, ma piuttosto quella proveniente da razze più robuste (come quelle a lento accrescimento nel caso dei polli) e da animali allevati all’aperto o con metodo biologico”. Dichiara Annamaria Pisapia, direttrore di CIWF Italia Onlus: “L’antibiotic free è l’ennesima operazione di marketing ad opera di grandi realtà del settore della grande distribuzione e della produzione, che attraverso claim fuorvianti inducono i consumatori a spendere di più per prodotti che nella stragrande maggioranza dei casi non garantiscono maggiore benessere o animali più sani”. (15 nov - red)

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