di Paolo Pagliaro

(15 novembre 2018) L’ultimo rapporto Svimez ci informa che negli ultimi 16 anni hanno lasciato il Sud 1 milione e 883mila residenti: per la metà giovani di età compresa tra i 15 e i 34 anni, quasi un quinto laureati. Il 16% si è trasferito all’estero. Il professor Gianfranco Viesti, in una lezione alla Casa della Cultura di Milano, ricorda che dal Duemila a oggi l’Italia è cresciuta di meno dell’1 per cento, contro il 23 dell’Unione Europea, il 18 dei Paesi dell’euro e il 38 di quelli non-euro. Grazie anche al rastrellamento di fondi pubblici, il Centro-Nord è cresciuto del 3 per cento; mentre il Sud è sceso di 7 punti e in dieci anni ha perso dieci punti di pil. Pino Aprile cita questi dati, insieme a molti altri, per dimostrare che l’Italia è finita, come recita il titolo del saggio appena pubblicato per Piemme. La tesi dello scrittore meridionalista, autore di testi di grande successo come Terroni e Attenti al Sud, è che per i loro squilibri interni né l’Italia né l’Europa potranno reggere alla spinta disgregatrice invocata da personaggi come Steve Bannon, l’ex consulente di Donald Trump campione dei razzisti e dei neonazisti americani, consultato come un oracolo dai sovranisti italiani. Pino Aprile osserva che il divario Nord-Sud costruito con l’Unità d’Italia è ormai il più duraturo al mondo e che il fossato – economico, culturale, sociale - è sempre più profondo. La fine del sistema – scrive - non sarà drammatica e improvvisa, non ci saranno cataclismi o rivoluzioni. Ci sarà invece un lento e inarrestabile scivolare verso il peggio, un continuo adeguamento a condizioni sempre meno vivibili, sempre meno accettabili, eppure subìte senza vera protesta, al più con il lamento di una stanca e rassegnata indignazione. Che non potrà essere lenita, sembra di capire, da quel piccolo reddito garantito dallo Stato, che i 5 Stelle hanno promesso al Sud e che il Nord chiede alla Lega di bloccare.