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direttore Paolo Pagliaro

Città di paure

città di speranze  

di Paolo Pagliaro

(9 febbraio 2019) Chissà se il nostro destino sarà quello di vivere asserragliati, per difenderci da nemici presunti e da estranei. E’ ciò che teme il grande sociologo Zygmunt Bauman, scomparso due anni fa, dal cui archivio l’editore Castelvecchi ha tratto un testo che è da poco in libreria con il titolo “Città di paure, città di speranze”. 
Bauman osserva i vari modi in cui nelle città si manifesta il conflitto tra spinte alla globalizzazione e ricerca di identità. Vede la pervasiva “McDonaldizzazione” , con le sue misure standard e il conseguente uniforme squallore dell’ambiente urbano, peraltro amatissimo per il raro conforto rappresentato da prevedibilità e ordine.
Ma vede anche, Bauman, il moltiplicarsi di costruzioni che sono in realtà “spazi d’interdizione” progettati per intercettare, respingere o filtrare i potenziali utenti. Lo scopo di questi spazi è quello di dividere, separare ed escludere, non di costruire ponti, passaggi agevoli e luoghi d’incontro, di facilitare la comunicazione e avvicinare gli abitanti. Le nuove invenzioni architettoniche e urbanistiche richiamano i fossati, le torrette e le cancellate delle fortificazioni cittadine premoderne. Solo che, invece di difendere la città e la sua popolazione dal nemico esterno, sono costruite per dividere gli abitanti e, avendone designato una parte come gli avversari, per difendere gli uni dagli altri, eliminando lo sforzo di comprendere, negoziare e fare compromessi, che comporta vivere in mezzo alle differenze. 
Secondo Bauman spetta ad architetti e urbanisti aiutare la crescita dell’amore della mescolanza, evitando che la segregazione venga proposta come cura radicale del pericolo rappresentato dagli estranei, come possono essere gli abitanti delle periferie o i migranti. Diciamo che spetterebbe alle elite progettare città di speranze e non di paure, se no queste elite cosa ci stanno a fare?

(© 9Colonne - citare la fonte)