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direttore Paolo Pagliaro

Nessuno parla più
di integrazione

Nessuno parla più <BR> di integrazione

di Paolo Pagliaro

(4 marzo 2019) Una parola scomparsa dal vocabolario della politica, quando si parla di immigrati, è integrazione. E’ una parola in questo momento impopolare, nonostante in Italia ci siano 5 milioni e mezzo di stranieri regolarmente residenti e alcune centinaia di migliaia in attesa di diventarlo. Sabato a Milano 200 mila persone hanno sfilato per dire che le politiche per l’integrazione devono invece tornare ad avere pieno diritto di cittadinanza. Che è assurdo tagliare i fondi per l’insegnamento dell’italiano, smantellare i centri di accoglienza straordinaria dimezzandone il personale, abolire i corsi di formazione professionale, cancellare l’assistenza psicologica e ridurre di due terzi il numero dei mediatori culturali, azzerare gli stanziamenti per le attività sportive, ridurre al minimo la presenza degli assistenti sociali e le prestazioni sanitarie. Tutte cose che stanno accadendo in omaggio al cosiddetto pacchetto sicurezza che agli ospiti dei centri di accoglienza propone di non far nulla, bighellonando mesi o anni in attesa che sia accolta o più probabilmente respinta la domanda d’asilo. Le nuove indicazioni che arrivano dal Viminale mortificano quelle prefetture che avevano puntato sulle buone pratiche, come quella di Rieti che aveva imposto ai migranti la partecipazione a corsi di lingua italiana per un minimo di 10 ore settimanali; o come quella di Ravenna che proponeva agli ospiti laboratori professionali e attività di volontariato a favore della città. Ha scritto Irene Ponzo, vicedirettrice del Forum internazionale di ricerche sull’immigrazione, che erogare servizi di integrazione non è una scelta da buoni, né da buonisti: “è una decisione pragmatica che cerca di tutelare la società nel suo complesso, perché popolare le città di individui marginali non giova a nessuno”.

 

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