di Paolo Pagliaro
(25 marzo 2019) Da un parte Google, Facebook, Youtube e gli altri – pochi – padroni della rete. Dall’altra editori e case discografiche, musicisti e creativi, artisti e giornalisti che chiedono di essere remunerati per il loro lavoro quando questo è utilizzato dalle grandi piattaforme digitali per rastrellare pubblico e dunque, attraverso la pubblicità, quattrini. Molti quattrini, se si considera che la sola Facebook, con le controllate Instagram, Messenger e WhatsApp, ha fatturato l’anno scorso 56 miliardi di dollari e ne ha guadagnati 22, quasi tutti grazie alla pubblicità.
Per una distribuzione più equa di queste risorse, – che consenta ai media tradizionali di sopravvivere – sarà decisivo l’esito del voto in programma domani all’europarlamento di Strasburgo, chiamato ad approvare la nuova direttiva sul diritto d’autore. Un testo che – dopo infinite mediazioni e compromessi – stabilisce alcune regole per valorizzare i diritti d’autore nei contesti digitali.
Questa mattina chi sfogliava un giornale o consultava qualche sito popolare come Wikipedia (oscurato per protesta) trovava gli accorati appelli rivolti ai deputati europei da entrambi i contendenti. In effetti la posta in gioco è molto alta. Gli editori chiedono di salvare l’industria europea della cultura e dell’informazione, i nativi digitali vorrebbero mantenere un internet quanto più libero possibile, senza limiti alla diffusione dei contenuti. Questa è naturalmente anche la richiesta dei cinque o sei grandi monopolisti del web, che chiamano diritto di cronaca il copia-incolla di contenuti prodotti e dunque pagati da altri.