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direttore Paolo Pagliaro

Come (non) cambia
la classe dirigente

Come (non) cambia <br>la classe dirigente

di Paolo Pagliaro

Sono cambiati i partiti al governo: usciti Pd e centristi, sono entrati 5 Stelle e Lega. Ma è cambiata o sta cambiando anche la classe dirigente? Questione non secondaria, in un paese guidato da un governo che si autodefinisce del cambiamento.

Prova a dare una risposta lo storico Guido Melis sull’ultimo numero della rivista “Il Mulino”. Ed è una risposta negativa, perché – ricorda il professore - una classe dirigente non si forma per decreto. Ha basi profonde, radici antiche. Ne fanno parte in molti. Non solo i componenti del ceto politico, ma, anche di più, i soggetti forti della finanza, i proprietari e i manager delle industrie, i percettori di rendita, gli esponenti di spicco delle professioni, i membri dei grandi corpi dello Stato e delle magistrature, gli alti ufficiali e persino i vertici della piramide ecclesiastica. Sono classe dirigente i presidenti di banca, i baroni universitari, i grandi medici, gli intellettuali che fanno opinione sui giornali e coloro che la stampa e le televisioni le controllano. Secondo Melis, classi dirigenti nuove sono il prodotto di culture nuove. E queste, a loro volta, richiedono una lunga e paziente semina. Chissà dunque quando le vedremo. Per ora prevale la continuità.
Un grande studioso francese delle istituzioni, Pierre Legendre, spiegava che le rivoluzioni producono delle fratture in apparenza anche radicali; ma poi esistono sempre gallerie sotterranee e cunicoli che consentono di passare da un lato all’altro del baratro che si crea. Lì passa la continuità delle élite. Lì si perpetua il potere. Valgono ancora i versi di Eugenio Montale: “La storia non è poi la devastante ruspa che si dice. Lascia sottopassaggi, cripte, buche e nascondigli. C’è chi sopravvive”.

(© 9Colonne - citare la fonte)