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Cosa ci potranno dire
le elezioni del 26 maggio

Stefano Zan

Fino ad oggi le elezioni europee sono state elezioni “tranquille” che non prevedevano grandi stravolgimenti né a livello comunitario né, tantomeno, a livello nazionale.

Questa volta le cose sono diverse perché alle elezioni del 26 maggio si gioca una partita che può avere effetti rilevanti sia in Europa che nel nostro Paese.

In Europa si tratta di certificare con un voto vero e non con un sondaggio il peso dei partiti e dei paesi sovranisti rispetto ai partiti filoeuropei. Una sfida importante che per la prima volta rischia di mettere in discussione l’assetto di potere dell’Unione rispetto ai decenni passati.

Anche in Italia si tratta di certificare con un voto che coinvolge tutti gli elettori, i rapporti di forza tra i principali partiti di governo e non. La Lega è davvero sopra il 30%? I 5 Stelle sono davvero sotto il 20%? il PD è davvero intorno al 25%? Un conto infatti sono i sondaggi altro conto sono i dati reali.

Nel frattempo, il sistema italiano, che si sta avvitando in una recessione economica sempre più pesante, è sostanzialmente paralizzato da una convinzione largamente diffusa, ancorché non suffragata da nessuna evidenza empirica, e cioè che ai due partiti di governo non convenga andare alle elezioni dopo aver causato la crisi di governo. Tutto è rinviato a dopo le elezioni europee. Il problema è che le elezioni non sono così vicine come sembra e molte cose dovrebbero essere fatte di qui a quella data per affrontare per tempo la crisi economica. Nei prossimi due mesi ci troveremo di fronte a una sorta di vero e proprio paradosso: da un lato aumenteranno i distinguo e le contrapposizioni tra i due partiti che devono contraddistinguersi in una campagna elettorale dove corrono in contrapposizione. Dall’altra faranno di tutto per non far cadere il governo sulla base della convinzione di cui abbiamo appena parlato.

Il rinvio di tutte le questioni più delicate a dopo le elezioni è una tattica che è già in essere da alcuni mesi e verrà accentuata. Ma ci sono in campo alcune scelte di fondo che dovranno essere assunte prima di quella data e la conflittualità crescente tra i due partner di governo, unita alle tensioni che riguardano ormai ogni singola questione, rischiano che anche un incidente di percorso non esplicitamente ricercato possa mettere in discussione un equilibrio sempre più delicato. Ma la linea prevalente sarà quella del rinvio.

Nessuno è in grado di dire cosa succederà dopo le elezioni. Nemmeno i partiti di governo hanno una posizione chiara su questo punto. È certo che verranno al pettine le questioni rinviate e non ci sarà più l’alibi della scadenza elettorale europea. Ma gli effetti e le conseguenze di una crisi di governo in larga misura oggi imprevedibili potrebbe indurre a procrastinare la fine di questa esperienza governativa. Quindi, come si sarebbe detto quando andavano di moda le citazioni latine: “Quo usque tandem abutere …?” (per le nuove generazioni, che non hanno dimestichezza con queste fraseologie: ci si riferiva alla famosa invettiva di Cicerone contro Catilina con cui gli chiedeva “fino a quando abuserai della nostra pazienza?”)

Un dato interessante però potrebbe essere legato al fatto che nelle elezioni europee un certo numero di voti è “libero” nel senso che non pochi elettori scelgono di votare in Europa per partiti che non voterebbero mai in Italia. È successo più volte in passato. Anche il grande successo del PD di Renzi alle passate europee fu dovuto a questo tipo di voti. Mai, neanche in quel momento, avrebbe raggiunto il 40% in un’elezione nazionale.

I sondaggi oggi disponibili sono poco affidabili perché il voto è ancora lontano e molte cose possono succedere nel frattempo, perché la campagna elettorale vera e propria non è ancora iniziata e quindi gli intervistati tendono a replicare le loro preferenze nazionali quando rispondono agli intervistatori.

Ma il voto europeo potrebbe anche essere l’occasione per dare un qualche segnale chiaro ma non compromettente ai partiti di governo. Penso in particolare alla Lega dove una parte consistente del suo elettorato tradizionale è tutt’altro che soddisfatta dell’azione (o dell’inazione) del governo. Tutto il mondo dell’imprenditoria di qualsiasi tipo e dimensione; buona parte delle istituzioni pubbliche del nord; molte persone che non apprezzano le posizioni più integraliste (ad esempio sulle donne e sulla famiglia) che la Lega sta assumendo ultimamente. Queste persone in Italia non vedono un’alternativa credibile alla Lega ma potrebbero approfittare del voto europeo per mandare un segnale molto chiaro al loro partito di riferimento. È una possibilità che aumenterà all’aumentare dell’incapacità del governo di assumere decisioni rilevanti prima di quella data.

(da stefanozan.it)

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