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L’agonia dei 5 Stelle
in crisi di identità

di Stefano Zan

(7 giugno 2019) In un qualsiasi partito del mondo che in un anno perde il 50% dei voti, pari a sei milioni di elettori, per prima cosa il leader rimette il suo mandato. Dopo di che si apre un confronto interno che con il tempo porta all’individuazione di una nuova linea politica e di un nuovo leader.
Di Maio però non lo ha fatto e non poteva farlo per diverse ragioni.
Intanto non è un leader ma un capo politico nominato dai due leader esterni (Grillo e Casaleggio) e a loro risponde in prima istanza.
Poi non saprebbe a chi rassegnare le sue dimissioni perché il partito non esiste, non ha organi istituzionali (direzione, assemblea, congresso) e quindi al massimo può rimettere il mandato alla piattaforma Rousseau che formalmente lo ha incoronato.
Infine non ha tempo perché la questione cruciale è se restare e a quali condizioni al governo, decisione che deve essere presa in tempo reale.
Ma il problema principale è quello della linea politica, della strategia di medio lungo termine che nel caso dei 5 Stelle è così inesistente da non aver prodotto al suo interno alcuna possibile alternativa. Ad oggi la linea dei 5Stelle è stata semplicemente la sommatoria di singoli provvedimenti (e il blocco di altri) senza che fosse possibile individuare un filo conduttore di tipo strategico. Tattiche (di comunicazione) diverse hanno portato allo stesso risultato.
L’idea di risolvere il tutto creando tardivamente (e comunque sempre dall’alto) un qualche organo collegiale è la classica soluzione che viene prospettata quando si è a corto di idee. Anche chi in questo momento sta criticando Di Maio mette in luce i suoi limiti di uomo solo al comando con troppi incarichi ma non presenta alcuna linea politico strategica alternativa.
I 5 Stelle, come ogni partito in queste condizioni, avrebbero bisogno di tempo per affrontare una seria riflessione sul proprio ruolo alla luce di quanto è successo in questo anno. Ma non hanno il tempo, i luoghi, l’abitudine e la tradizione per un vero confronto politico e questo dimostra come l’idea della democrazia della rete, del movimento non partito, del mancato radicamento sul territorio (hanno perso pesantemente tutte le elezioni amministrative) può funzionare allo stato nascente quando si è all’opposizione ma non consente di affrontare crisi gravi di riposizionamento politico. Mancando il partito l’unica alternativa è quella di un leader forte capace di indicare la linea da percorrere convincendo tutti a seguirlo senza nemmeno bisogno di dibattito interno. Ma questo leader, che in origine è stato Beppe Grillo, oggi non c’è più e nessuno è stato in grado di prendere il suo posto.
L’idea che i 5 Stelle possano decidere della sorte del governo è del tutto peregrina. Certo potrebbero uscire ma i gruppi parlamentari non hanno nessuna intenzione e nessun interesse a interrompere la legislatura. Quindi si infileranno mani e piedi legati nella rete di Salvini, seguendolo sulla sua strada fino a quando non si arriverà a un punto di rottura su un qualche tema assolutamente non digeribile per loro. Ma sarà Salvini a decidere quando e come chiudere questa esperienza e non credo dovremo aspettare a lungo. Di fronte ad un elettorato così volatile la Lega non può pensare di aspettare quattro anni per andare all’incasso del consenso di cui gode in questo momento, perché è un consenso al quale non corrisponde una relativa presenza parlamentare. Nei prossimi mesi può pensare di sfruttare ulteriormente il declino dei 5 Stelle e di Forza Italia ma poi ha tutto l’interesse di andare all’incasso dei voti prima che l’aria che tira possa cambiare.
In tempi brevi dunque i grillini si troveranno fuori dal governo e dovranno affrontare una nuova campagna elettorale in cui le probabilità che riescano a recuperare i voti persi sono davvero poche.
La dichiarazione di Fico all’assemblea dei parlamentari grillini: “Non so più chi siamo” la dice lunga sullo stato in cui si trova il movimento in questo momento in cui tra l’altro deve decidere se restare (o tornare ad essere movimento), oppure diventare un partito a tutti gli effetti. Una crisi di identità profonda che non si risolverà nel giro di pochi mesi o con qualche aggiustamento organizzativo anche perché manca una seria metodologia sul come affrontare il problema alla radice.

(da mentepolitica.it)

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