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direttore Paolo Pagliaro

Adriano Olivetti
e la cultura di Ivrea

Adriano Olivetti <br> e la cultura di Ivrea

di Paolo Pagliaro

(18 giugno 2019) Negli anni Cinquanta c’era a Ivrea una fabbrica che ai suoi  manager non  chiedeva grinta, spietatezza, pelo sullo stomaco. Anzi, chi aveva queste caratteristiche difficilmente faceva carriera. In quella fabbrica, l’Olivetti, ai dipendenti si offrivano stipendi più alti, orario di lavoro ridotto, asili nido, mutui agevolati, borse di studio, assistenza sanitaria, trasporti, luce e vista sulle montagne del Canavese e, con l’apertura dello stabilimento di Pozzuoli, sul Golfo di Napoli. C’erano anche biblioteca, corsi sulla storia del movimento operaio, conferenze, concerti.

In quel mondo, il mondo del grande imprenditore visionario Adriano Olivetti, approdò un giovane giornalista, Furio Colombo, attirato dall’idea di progresso e di futuro che allora si respirava a Ivrea
Colombo fu mandato negli Stati Uniti con l’incarico di  selezionare il personale. L’ingegner Olivetti gli aveva spiegato che doveva cercare coloro che avevano immaginazione, curiosità, desiderio di affacciarsi ai settori della cultura che non conoscevano. Filosofia teoretica, filosofia della scienza, logica matematica ma anche  letteratura e lingue orientali. Ora Colombo pubblica un diario di quella  sua irripetibile avventura lavorativa e intellettuale  in un libro intitolato “Il tempo di Adriano Olivetti”, scritto con Maria Pace Ottieri e pubblicato da Edizioni di Comunità.
Olivetti progettava di riorganizzare il mondo secondo principi di equità. Costruiva macchine e aveva capito che l’era della meccanica stava per lasciare il posto all’elettronica, ma non vedeva e non si augurava la fine del lavoro. Pensava, al contrario,  che il lavoro fosse l’unica cultura in grado di garantire sviluppo e giustizia. 
Alla fine del libro la Ottieri chiede a Furio Colombo cosa resta di quel mondo e lui risponde che non resta nulla.

(© 9Colonne - citare la fonte)