Agenzia Giornalistica
direttore Paolo Pagliaro

BORSELLINO, 27 ANNI
SENZA L’EROE ANTIMAFIA

Era il 19 luglio di ventisette anni, quando una bomba esplosa nel primo pomeriggio nella stretta via D’Amelio, a Palermo, si portava via con la forza Paolo Borsellino, 57 giorni dopo la morte del suo amico e collega Giovanni Falcone a Capaci. Come scrissero sinteticamente i giornalisti Attilio Bolzoni e Francesco Viviano, “è fra Capaci e via Mariano D'Amelio - ne sono convinti i procuratori di Palermo - che inizia la trattativa fra Stato e mafia. Paolo Borsellino ne viene a conoscenza, si mette di traverso e lo uccidono”. Una domenica come tante, si reca in visita dalla madre, in Via D’Amelio, era il 19 luglio dello stesso anno, il 1992. Lì una 126 è stata infarcita di tritolo, ed esplode al suo arrivo: muore lui e la sua scorta. E questi sono i fatti. Restano le domande, i punti interrogativi, l’amarezza ancora attuale di non sapere chi abbia azionato il cervello di chi ha poi azionato i detonatori. E pochi giorni fa, grazie alla desecretazione degli atti della Commissione Antimafia, abbiamo scoperto che già nel 1984, otto anni prima della strage di via D’Amelio, Paolo Borsellino temeva per la propria vita. E in una audizione si lamentava della mancanza di personale dedicato alla scorta. “In riferimento al personale ausiliario – diceva Borsellino in quell’audizione - desidero precisare che non si tratta soltanto dei segretari e dei dattilografi, dei quali dovremmo avere garantita la presenza per tutto l'arco della giornata e non soltanto per la mattinata (perché non lavoriamo soltanto di mattina), ma anche degli autisti giudiziari, perché buona parte di noi non può essere accompagnata in ufficio di pomeriggio da macchine blindate – come avviene la mattina - perché di pomeriggio è disponibile solo una macchina blindata, che evidentemente non può andare a raccogliere quattro colleghi. Pertanto io sistematicamente, il pomeriggio mi reco in ufficio con la mia automobile e ritorno a casa alle 21 od alle 22. Magari con ciò riacquisto la mia libertà utilizzando la mia automobile; però non capisco che senso abbia farmi perdere la libertà la mattina per essere, poi, libero di essere ucciso la sera". Tra i tanti ricordi politici della giornata, quello del suo ex collega, ex presidente Antimafia e del Senato Pietro Grasso, per il quale "nelle risposte taglienti emerse dagli audio resi disponibili dalla Commissione antimafia c’è tutto il Paolo Borsellino che conosco. La rabbia di chi era consapevole di cosa servisse per combattere efficacemente la mafia, e già nel 1984 pretendeva dallo Stato totale dedizione e collaborazione; la lucidità di analisi, che lo rese insieme a Falcone il punto di riferimento di tutti noi magistrati e fiero nemico di Cosa nostra; l'ironia palermitana, quella capacità unica di strappare un sorriso - troppo spesso amaro - davanti a difficoltà grandissime. Paolo ha affrontato tutte quelle difficoltà con la consapevolezza di fare 'solo' il proprio dovere, con l’affabilità nei modi dei grandi uomini, con la fermezza del cittadino modello, devoto alla Costituzione e alla toga che aveva scelto di indossare. Sentire di nuovo la sua voce mi ha ancora una volta commosso”. Commosso il ricordo di un altro palermitano doc come il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che ricorda Borsellino e anche gli uomini della sua scorta che persero la vita con lui, Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina:  rivolgo nei loro confronti un pensiero commosso e rinnovo la vicinanza e la solidarietà ai loro familiari, tra i quali, per il primo anno, manca Rita Borsellino che ne ha continuato in altre forme lo stesso impegno”.

(Sis)

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