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direttore Paolo Pagliaro

Migranti, Giolitti
era più lungimirante

di Paolo Pagliaro

(15 ottobre 2019) Un tempo l’inclusione degli stranieri era una necessità, oggi sembra diventata un lusso. L’ultima vittima del nuovo clima è il Columbus Day, che si festeggia negli Stati Uniti il secondo lunedì di questo mese, per commemorare il 12 ottobre 1492, quando Cristoforo Colombo toccò terra in quella che lui battezzò l’Isola di San Salvador. Venerdì il consiglio comunale di Washington ha deciso di abolire la festività approvando una mozione in cui si legge che “Cristoforo Colombo schiavizzò, colonizzò, mutilò e massacrò migliaia di indigeni nelle Americhe. E dunque non è il caso di festeggiare”.  Altri 11 stati hanno cancellato le celebrazioni con motivazioni analoghe. In realtà quando Roosvelt nel 1937  istituì il “Columbus Day” a livello federale, lo fece pensando che dovesse servire all’integrazione degli immigrati italiani, che ebbero un ruolo non marginale nella costruzione degli Stati Uniti come li conosciamo oggi.  Politiche inclusive verso gli stranieri il Novecento seppe crearle anche in Italia. Noi discutiamo con molta enfasi di ius soli e ius culturae, quel sentiero per l’integrazione degli stranieri che molti considerano una minaccia per l’identità nazionale.  Non avevano questi timori i legislatori che più di cento anni fa approvarono una legge sulla cittadinanza, la numero 555 del 1912. Prevedeva, tra le altre cose, che potesse diventare cittadino italiano chi fosse residente nel regno da almeno cinque anni, chi avesse contratto matrimonio con una cittadina italiana o avesse almeno un genitore italiano, e chi avesse reso notevoli servigi all’Italia. Naturalmente era necessario giurare fedeltà al Re e se del caso prestare servizio militare.  L’Italia giolittiana aveva bisogno di nuovi cittadini, esattamente come l’Italia di oggi. Ma era sicuramente meno impaurita e più lungimirante. 

(© 9Colonne - citare la fonte)