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Auto: fusione Psa-Fca
tante ombre e poche luci

di Gianpaolo Rossini

La fusione tra PSA ed FCA mette insieme due realtà zoppicanti del settore auto con grosse difficoltà di mercato e in forte ritardo sotto il profilo tecnologico. PSA e FCA sono i produttori che per ultimi hanno sollevato il piede dalla trazione a gasolio e sono in ritardo rispetto a quasi tutti i concorrenti nell’ibrido e nell’elettrico. Hanno gamme di modelli in larga parte obsoleti e pochi progetti per il futuro prossimo. Nessuna delle due case ha una sufficiente presenza sui mercati a più forte crescita dell’Asia nonostante Psa sia partecipata da un produttore cinese. La prova di tutto questo viene dalle cifre della capitalizzazione delle due società complessivamente inferiori a quelle ad esempio di BMW che vende circa un terzo di auto di FCA-PSA. Psa viene dalla recente acquisizione di Opel che l’americana General Motors ha abbandonato dopo anni di perdite insanabili e investimenti al lumicino. FCA viene da anni di grande attivismo finanziario con i quali la proprietà ha progressivamente spezzettato una grande conglomerata simile ai grandi colossi coreani (Hyundai) e giapponesi (Mitsubishi, Honda) ottenendo tante piccole realtà industriali alcune delle quali vendute interamente a concorrenti, come Marelli. I risultati di queste incessanti manovre finanziarie sono stati deludenti sul piano industriale e commerciale.  I dettagli della fusione PSA – FCA fanno riflettere. FCA ad esempio annuncia un sorprendente maxi dividendo da oltre 5 miliardi prima della fusione. Insomma FCA viene consegnata alla nuova realtà alleggerita in maniera radicale fino all’ultimo centesimo lanciando ombre perfino sulla continuità produttiva di alcune parti dell’impresa stessa. Certamente la decisione di prosciugare oltre 5 miliardi di FCA è dettata dal fatto che la fusione tra PSA e FCA non doveva essere paritetica dato che le due imprese non hanno lo stesso valore. Ma si sa, c’è di mezzo il governo francese che è il convitato di pietra nell’azionariato PSA e che non voleva PSA in minoranza nella nuova impresa. FCA infatti produce più auto, è più diversificata geograficamente, ha impianti più moderni e maggiore produttività del lavoro. Da cui la decisione legittima di consegnarla il più possibile svuotata di ogni risorsa finanziaria. Ma questo non sarà di secondaria importanza perché obbligherà la nuova impresa a ricorrere con maggiore insistenza ad ammortizzatori sociali e a fonti finanziarie esterne per fare fronte alla conversione tecnologica necessaria. Dunque le reazioni positive della borsa non devono indurre a facili ottimismi perché sono solo dovute alla promessa di una immediata pioggia di dividendi. E si sa che le Borse non guardano molto più in là del loro naso avendo una visione di breve respiro.
Nelle comunicazioni stampa la fusione è poi accreditata per risparmi di circa 4 miliardi. Non è dato sapere su quale arco temporale e sulla base di quali ipotesi di volumi di vendite. Di certo questo significherà meno posti di lavoro qualificati in Italia e Francia e certamente anche meno occupazione negli stabilimenti. Di solito le fusioni tra imprese pressoché simmetriche e per nulla complementari come PSA e FCA portano a livelli produttivi inferiori a quelli precedenti l’aggregazione. Il compianto Marchionne era consapevole di tutto questo e infatti non riteneva PSA un partner adatto perché troppo simile a FCA. Sarà arduo insomma per la nuova nata mantenere il livello di produzione complessivo di oltre 8 milioni di auto vendute viste le sovrapposizioni, le arretratezze e la debolezza di mercato di PSA e FCA. Il perseguimento a tutti i costi della grande dimensione per competere è una strategia industriale di dubbia efficacia soprattutto quando si basa sull’aggregazione di imprese deboli che vengono da lunghi periodi di scarsi e sbagliati investimenti nonché bassa innovazione. Le imprese di successo crescono perché investono molto in ricerca e sviluppo (R&S) non perché accumulano fabbriche di auto obsolete.  Oltretutto FCA ha da poco venduto Marelli impresa attiva nelle parti elettriche, vitale per la transizione all’ibrido e all’elettrico. FCA non avrebbe potuto conferire Marelli nella nuova impresa se non ottenendo un peso dominante nella governance e nella nuova composizione azionaria, come detto sopra, inaccettabile per Macron.
Solo ombre sulla nuova impresa? Effettivamente le luci sono poche e vengono soprattutto dalle eccellenze latenti che porta in dote FCA dovute ai buoni livelli della produttività del lavoro e ad un rilevante patrimonio di conoscenze dei vari marchi accumulati negli anni. Saprà la nuova impresa valorizzarle? Lo speriamo.

(da mentepolitica.it)

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