di Paolo Pagliaro
(5 febbraio 2020) Nasce da un problema sanitario – e non da conflitti armati - il primo esperimento su vasta scala di blocco della globalizzazione. Le conseguenze economiche e sociali del coronavirus sono gli ingredienti di quei veri e propri bollettini di guerra in cui si stanno trasformando i giornali finanziari, anche se è probabile che – appena si troverà il vaccino – l’ordine della globalizzazione verrà ristabilito. E con esso il regolare andamento dei listini.
Come sappiamo, l’epidemia sta mettendo in ginocchio l’industria automobilistica perché anche per questo comparto la Cina è il primo mercato del mondo e perché in Cina ci sono le fabbriche di componentistica di cui quasi tutti i grandi marchi si servono. Si realizzano in Cina i sistemi di cablaggio forniti dalle aziende sudcoreane, vale 900 milioni l’import dalla Cina delle aziende italiane del settore. Hanno stabilimenti in Cina imprese come Brembo, che normalmente trasmette ordini d’acquisto e ora invia mascherine.
Sono devastanti le conseguenze sull’industria della moda e del lusso. Dal 18 al 24 febbraio a Milano Moda Donna mancheranno gli attesi mille grandi buyer cinesi, che sono il tramite tra il made in Italy e il mercato più promettente. Milano Unica, leader europea tra le fiere del tessile di qualità, ha annullato la manifestazione gemella di Shangai.
Quarantene e blocco dei collegamenti aerei stanno mettendo in ginocchio il turismo. Secondo l’istituto Demoskopika la drastica riduzione degli arrivi dalla Cina potrebbe costare all’Italia – cioè ai 4 milioni di persone che di turismo vivono - dai 4 ai 5 miliardi di euro.
Niente di irreversibile. Ma una costosa simulazione di come il mondo cambierebbe se non fosse più interconnesso.
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