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Il coronavirus
non ha passaporto

 Il coronavirus <br> non ha passaporto

di Paolo Pagliaro

(13 marzo 2020) L’Austria e la Slovenia ha sbarrato la frontiera con l’Italia, la Francia invece l’ha tenuta aperta. Alcuni hanno sospeso i voli, altri no.  In Belgio, di fronte all’inerzia del governo, un’intera città – Knokke – si è messa in quarantena da sola.   Alcuni paesi hanno bloccato l’export di mascherine, altri rispettano i contratti.   Nell’emergenza coronavirus gli  europei faticano a trovare risposte comuni anche se sta crescendo la consapevolezza che il coronavirus non ha passaporto e non rispetta i confini.

Tra l’altro – pur essendo la sanità una materia di competenza dei singoli stati – l’Unione europea ha previsto nei suoi Trattati diversi strumenti che dovrebbero legittimare  politiche comuni anche in questo campo.

L'art.168 del Trattato di Lisbona prevede al paragrafo 5  la possibilità di attuare misure di incentivazione per proteggere e migliorare la salute umana, in particolare per lottare contro i grandi flagelli che si propagano oltre frontiera.  L'articolo 222, la cosiddetta clausola di solidarietà, prevede l'obbligo di portare assistenza a uno stato membro in caso di calamità naturale o provocata dall’uomo. Infine l'art 196  prevede azioni comuni di protezione civile.

Esiste poi nell’ambito dell’Unione europea un centro di eccellenza – CBRN -  che si occupa di crisi chimiche, biologiche, radiologiche e nucleari. Raccoglie i massimi esperti in materia e negli ultimi anni ha messo  a punto diverse tipologie di interventi da attivare anche in caso di pandemie.  Dopo aver fornito la sua consulenza a molti paesi del mondo, ora avrebbe l’occasione di rendersi utile anche a chi lo finanzia, cioè  all’Europa.

 

(© 9Colonne - citare la fonte)