Agenzia Giornalistica
direttore Paolo Pagliaro

SE IL VIRUS UCCIDE
ANCHE LE EMOZIONI

Giù il sipario. E per molte realtà teatrali c’è il rischio che il telo rosso non riapra più, anche quando – si dice così – torneremo alla normalità. Già, ma quale normalità potrà mai esserci per centinaia di teatri stabili e di compagnie italiane che il Coronavirus ha letteralmente azzerato? Lo scenario è drammatico: cartelloni bloccati, giorni e giorni di lavoro buttati e stagioni che si sono concluse con mesi di anticipo, con il conseguente tracollo di incassi, lavoro e salari. Ma c’è di peggio: il virus rischia di minare in modo irreparabile quella fiducia che c’è fra il teatro e i suoi spettatori, quel rapporto per il quale - per qualche ora - si decide di affidarsi a una compagnia di attori per ridere, piangere, sognare, riflettere, sprofondati in una poltrona, a pochi centimetri di distanza da chi, come noi, ha scelto lo stesso momento di vita. Ecco: chi si fiderà più? Chi si chiuderà in una sala con altra gente col rischio di uscirne infetto? E soprattutto, c’è ancora qualcuno che si farà “contagiare” da una risata o da un’emozione? Se rileggiamo il verbo tra virgolette, capiamo quanto profonda possa essere – non solo in termini economici – la crisi che sta investendo il settore teatrale. “Il presidente di Federvivo ci ha ipotizzato la chiusura di ulteriori due mesi: si è conclusa di fatto una stagione che di solito va avanti fino a giugno”. Gianluca Balestra ci risponde dopo aver finito una lezione di francese online, “in qualche modo devo anche tenermi impegnato”, scherza. Il suo tono è vivace, la realtà lavorativa in cui si trova ad operare è l’esatto opposto, lo zero assoluto. Gianluca è un ingegnere culturale, è presidente di Elsinor, una cooperativa sociale e centro di produzione teatrale di Milano ed è nel direttivo dell’ANTAC, l’associazione che riunisce i centri di produzione teatrali in Italia. Il futuro? “Un grande punto interrogativo”, ci spiega. “Oltre alla possibilità normativa di assembrarsi, bisogna anche capire quanto tempo e con quali energie riusciremo a coinvolgere di nuovo le persone”.

Sempre secondo Federvivo, sono stati stanziati 130 milioni di euro come fondo emergenza oltre a tutti gli ammortizzatori sociali che sono stati allargati anche allo spettacolo dal vivo, sia per i dipendenti a tempo indeterminato che agli intermittenti, ovvero attori e tecnici che lavorano a chiamata, che possono così ottenere i famosi 600 euro. “È una buona partenza – continua Balestra - ma parliamo di un comparto che fattura centinaia di milioni di euro nella sua attività caratteristica più un indotto incalcolabile, perché la filiera culturale smargina in altri comparti. Servono strumenti di prospettiva. La non classificazione del nostro mestiere purtroppo è una condanna: ora ci accorgeremo del vuoto che si crea con l’assenza dello spettacolo dal vivo. Non penso tanto alla prosa ma alla musica. La possibilità di interagire è frutto di una professione, anche se non siamo classificati a livello ISFOL”. Ecco che entra in gioco il concetto di fiducia: “Siamo divulgatori di sapere – continua appassionato Balestra – quello è il nostro lavoro. Il ruolo che abbiamo è di informare per porre lo spettatore davanti a se stesso, davanti a uno specchio. Lavoriamo quindi sulla fiducia che lo spettatore ripone in noi. E ora rischia di venire meno per tanto tempo. Sembra assurdo in questo momento, ma la nostra prima barriera è psicologica, ancor più che normativa”. Lasciarsi contagiare, se prima era una gioia, ora è un terrore. Poco importa che sia un virus o un’emozione: saremo davvero pronti, quando le curve che abbiamo imparato a conoscere ce ne daranno la possibilità, a rimettere il naso fuori di casa? E a farlo per entrare in una sala e metterci di fronte alle nostre gioie e alle nostre paure? In casa non abbiamo chiuso solo il nostro corpo, abbiamo chiuso la nostra anima: il significato di virale ha radicalmente cambiato il suo percepito. “Eppure noi ci lavoriamo sul virale – conferma Gianluca – il teatro è virale, l’emozione è virale, tu contagi con le emozioni. Sono parole teatrali ma ora abbiamo il timore di usarle”. Ogni spettacolo, spiega ancora, ha una gestazione di almeno un mese di prove: “Prendi noi ad esempio: non sappiamo ancora se potremo essere in scena a Milano con ‘Le Rane’ di Aristofane. Ma se non possiamo cominciare subito, dobbiamo perdere anche questo, non ci staremmo con i tempi”.

Il teatro è stato tra i primi esercizi oggetti di chiusure, appena in Italia si è affacciata l’emergenza con i primi casi di Codogno. “Lo ricordo come fosse pochi minuti fa. Il primo pensiero è stato: ma siamo davvero così pericolosi noi teatranti? Ricordo che dopo una riunione di categoria mi trovai a cena in un ristorante, la sera dopo la chiusura dei teatri. Eravamo tanti in poco spazio: pensai davvero che le misure avessero colpito noi molto più di altri. Poi la situazione si rivelò molto diversa, come sappiamo”. Milano è uno degli epicentri del virus. Gianluca racconta che fino a qualche giorno fa il suono delle sirene, per lui che vive a pochi chilometri dall’Ospedale Maggiore, era praticamente ininterrotto. “Mi sono tornati alla mente i carri dei monatti, il racconto della peste manzoniana. Quel commovente passaggio della morte di Cecilia: ‘Il monatto si mise una mano al petto; e poi, tutto premuroso, e quasi ossequioso, più per il nuovo sentimento da cui era come soggiogato, che per l’inaspettata ricompensa, s’affaccendò a far un po’ di posto sul carro per la morticina. La madre, dato a questa un bacio in fronte, la mise lì come sur un letto, ce l’accomodò, le stese sopra un panno bianco, e disse l’ultime parole: – addio, Cecilia! riposa in pace!’. I monatti raccoglievano cadaveri, qui le ambulanze corrono a prendere gli infetti, che hanno fame d’aria. È un paragone che mi è saltato subito in mente e lascia atterriti”. Che teatro ci sarà a fine isolamento? “La filiera produttiva ha subito e subirà ancora colpi drammatici. Dobbiamo cercare delle soluzioni ponte che ci portino da altra parte del guado, per ricominciare a fare il nostro lavoro da un punto zero. Siamo tutti fuori da una realtà, quella che conoscevamo”. Dalle macerie dell’arte e della rappresentazione può nascere un nuovo inizio, secondo Balestra. “Vogliamo concludere parlando della parte positiva? Ce ne sarà una, lo stimolo della creatività. Ci sarà spazio e voglia di inventare”. (31 MAR / Marcello Lardo)

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